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Giorgio Morandi e la sua figura di artista del '900

In occasione della Mostra al Vittoriano di Roma con i suoi quadri in esposizione dal marzo all’aprile del 2015, si voglia ricordare la figura di artista. Giorgio Morandi, (nato a Bologna nel 1890 e ivi morto nel 1964), è un “tipo” lontano dallo stereotipo dell’artista bohèmien. Visse con tre sorelle tra la casa di Via Fondazza a Bologna e quella sull’Appennino a Grizzana. Nel suo apparente isolamento, però, Morandi coltivò rapporti di amicizia con critici e direttori di mostre e musei che gli dettero la possibilità di essere conosciuto anche all’estero. Arrestato per antifascismo nel 1943 non si lasciò mai coinvolgere nelle vicende politiche. Insegnante di disegno alle elementari per quattordici anni e di incisione all’Accademia per ventisei, di salute cagionevole, non ebbe mai un vero studio e lavorò sempre in casa.
Assistette a tre serate Futuriste e partecipò come “spettatore” alle opere di Cèzanne, Monet e Renoir alle Prime Biennali di Venezia negli anni ’10. Frequentò e conobbe i letterati de “La Ronda”. La sua perizia tecnica si rende bene nelle poche pennellate di polvere che da sugli oggetti. Uno stereotipo ha definito i suoi quadri come teatrini. Essi furono sempre di piccole dimensioni e rappresentano una incomunicabilità che dà prova solo della Metafisica e soprattutto ricorda Cèzanne della Montagna Sainte- Victorie, ed impegnato sul piano del rapporto percettivo tra oggetto e soggetto.
Esaminò il rapporto figura-sfondo e studiò gli effetti relativi allo spettatore di ogni minimo spostamento sia cromatico che spaziale. Quanto alla tecnica, la pittura degli esordi fu piattissima. In seguito la pennellata si fece sempre più gestuale, con colori accesi, in un gioco di ombre che si fece esplicito nella sua intensa attività di incisore e di disegnatore in bianco e nero. La pasta cromatica negli anni Trenta diventa tanto liquida da far intravedere la trama della tela. Un confronto tra tre “Nature Morte” rende conto dell’evoluzione del tocco pittorico.
Nella “Natura Morta” del 1918 compare il manichino metafisico che si chiude dentro uno spazio definito, una scatola che smentisce i palcoscenici aperti e le fughe prospettiche di De Chirico, (il Padre della Metafisica). In quella del 1932 si era affermata una rappresentazione degli oggetti su un piano sempre meno protagonista, divenuto meno supporto. Nell’ultima “Natura Morta”, quella del 1960 invece il colore è divenuto così poco compatto che si intravedono i segni del pennello: lievi variazioni di intensità di colore, ci lasciano intuire un tavolo e un muro dietro di esso, ma la parte conica della bottiglia è assorbita dal fondo e il suo fusto sembra apparire nel muro.
La composizione è scandita sulla base di scansioni geometriche. Ai lati del gruppo di oggetti dei rettangoli bluastri, essi potrebbero essere percepiti anche come oggetti, trasformando la striscia centrale in un fregio a bassorilievo. Le diagonali, che nelle prime due opere correvano da destra a sinistra e dal basso verso l’alto, sono abolite in virtù di tanta estrema semplicità vicina a quella degli Astrattisti. Ed in una rara intervista dichiarò di non aver mai ceduto all’Astrattismo, ma di essersi sempre mosso sulla linea sottile che lo divide dal Realismo. Ecco che allora troviamo due Morandi, o forse anche più: uno Metafisico, uno che ha studiato gli Impressionisti e il Futurismo ed un Astrattista di fondo, con spiacevole ricorso al Realismo, che dichiarò lui stesso, se ne fosse allontanato volutamente.

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Written by Michela Gabrielli

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