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L'involuzione della commedia all'italiana dal 1970 ad oggi

Da Mario Monicelli a Neri Parenti: la comicità italiana dagli anni ’80 ad oggi subisce una forte involuzione, si carica di nuovi valori, scialbi, banali, distruggendo completamente quello splendido ricordo degli anni ’70, dove le situazioni divertenti, i dialoghi arguti, l’originalità comica e l’inventiva trionfavano incontrastati sul grande schermo. In principio fu Mario Monicelli, con il suo I soliti ignoti (1958 – Gassman, Mastroianni, Totò), ad introdurre una comicità non più amara, distaccandosi quindi da quel neorealismo che dominò la cinematografia italiana per circa un decennio nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Nata a Cinecittà, la commedia all’italiana annovera, tra i suoi protagonisti principali, attori del calibro di Alberto Sordi, Vittorio Gassmann, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, interpreti di altissimo livello, quando il Cinema era una vera e propria forma d’Arte. Passando per film come Divorzio all’Italiana (1961 di Pietro Germi, con Marcello Mastroianni) e Il medico della mutua (1968 di Luigi Zampa, con Alberto Sordi) si scopre una comicità italiana pura, incontaminata, ma sempre attenta alle tematiche importanti della società. Si finisce poi per approdare alle indimenticabili zingarate dell’inseparabile ed esagitata combriccola in Amici Miei (1975 di Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Duilio Del Prete) dal quale nasce la supercazzola: quel nonsenso dal gusto nuovo, ancora da scoprire, ma dal forte impatto comico. E’ una comicità primordiale, un’ilarità intesa come trasposizione su pellicola di una realtà socio-culturale ben differente da quella attuale: è la situazione ad essere comica, il contesto, non l’utilizzo reiterato di un linguaggio volgare fine a sé stesso, né il costante inserimento di doppi sensi a sfondo sessuale. Il cambiamento in negativo delle nostre tradizioni, della nostra cultura, del nuovo modo di vivere ha progressivamente portato importanti cambiamenti nel nostro modo di rapportarci alla risata: bastava uno sguardo, un’espressione facciale, un piccolo gesto del corpo, per suscitare nello spettatore una forte ilarità. Al giorno d’oggi solo tramite l’esasperazione immotivata della volgarità ed il continuo utilizzo di situazioni ricorrenti, ormai banali, lo spettatore medio italiano, anch’esso dotato di un palato cinematografico ben poco raffinato, quasi usurato dalla comicità demenziale, trova il proprio essere, è attratto da quei valori quali sesso, soldi e violenza. L’intento è chiaramente populistico: gli “incassi al botteghino”, ormai scopo principale della cinematografica comica italiana – che si distacca da quell’ideale di cinema come strumento per trasmettere un messaggio, una morale – sono calcolati su quel target di fruitori esattamente collocati in una fascia socio-economica media, d’età compresa tra i 15 ed i 35 anni. Questa pericolosa tendenza cominciò a svilupparsi intorno agli anni ’80, con la nascita della cosiddetta commedia sexy all’italiana dove, in un continuo susseguirsi di situazioni a sfondo erotico, ci si discosta in maniera quasi totalmente irreversibile da quel principio imprescindibile della comicità come strumento di divertimento ma allo stesso tempo di riflessione. Ecco che allora questo genere più disimpegnato, di pura farsa ma di facile presa sul pubblico, soppianta con i suoi protagonisti, tra cui Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo, Edwige Fenech, una commedia cinematografica italiana di ben più alto livello, sia nell’estetica che nei contenuti. Gli sviluppi successivi ovviamente non potevano che continuare su quella linea immaginaria diretta rovinosamente verso il declino, verso la scomparsa totale dell’originalità comica, creando situazioni grottesche, di dubbio gusto, dai poveri contenuti. Una branca del nostro cinema che avrebbe estremamente bisogno di nuova linfa, ma non può far altro che vivere nel ricordo nostalgico dei grandi attori e dei grandi registi che l’hanno consacrata.

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