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Mauro Staccioli e la scultura ambientale

La produzione artistica di Mauro Staccioli – in particolare quella realizzata dalla fine degli anni Sessanta in avanti – può essere a buon diritto inserita all’interno della ”scultura ambientale”, definizione con la quale si è soliti indicare opere scultoree di grandi dimensioni che trovano la propria ragion d’essere se collocate in un contesto urbano o naturalistico. Il prodotto artistico, che vive in questi spazi per lo più temporaneamente, entra così in contatto con la società fruitrice di quell’ambiente: s’instaura dunque un rapporto con essa – perché la scultura è veicolo di messaggi – e, contemporaneamente, viene modificata l’usuale percezione che la presenza umana ha di quel contesto.

L’importanza dell’opera di Staccioli però, va oltre, cominciando dalla forma e dal materiale scelto nel suo lavoro di artista. Egli opta per una scultura non figurativa che privilegia quasi esclusivamente forme geometriche essenziali come il quadrato, il cerchio, il triangolo, realizzata principalmente con il cemento “pesante, faticoso e concreto”(Mauro Staccioli, intervista del 6 febbraio 2012, in Mauro Staccioli: gli anni di cemento 1968-1982).  Tale scelta non è casuale: il materiale industriale vuole evidenziare quello che è il valore d’uso piuttosto che il valore venale dell’opera che, fisicamente nata dalle mani dell’artista, si pone da un lato in contrapposizione alla meccanizzazione della nostra epoca e, dall’altro, in qualità di installazione, ha una vita effimera come se la società, per laquale è nata, non volesse accettare i messaggi scomodi che rappresenta. L’opera staccioliana si pone come obiettivo, infatti, quello di creare tensione, scuotere l’animo dell’osservatore, indurloa farsi delle domande e a sviluppare un’autonoma coscienza critica. Se comunque il fine ultimo del lavoro di Staccioli è univoco, sono molteplici i problemi affrontati dall’artista nel corso degli anni, attraverso la sua produzione, che – va ricordato – rappresenta un superamento del Minimalismo e della Land Art: se da una parte egli sfrutta la geometria primaria, è anche vero che ad essa associa valenze emozionali estranee ai minimalisti; inoltre pur operando all’interno di un ambiente, non lo modifica, evidenziando piuttosto quella che è la sua identità fisica.

Le sculture staccioliane sanno sempre instaurare un legame con l’ambiente che le accoglie, a partire dalla prima personale dell’artista, tenutasi a Volterra, sua città natale, nel 1972. Il rimando alla violenza e all’esigenza difensiva di una società che viveva gli anni di piombo si palesa qui sfruttando elementi acuminati, posti in luoghi-simbolo della città. Il preciso intento politico, evidente anche in opere successive (come a Parma nel 1973), dalla metà degli anni Settanta lascia spazio a risultati legati alla condizione psicologica dell’uomo e a quella del fare arte. Tali riflessioni generano il Muro, presentato alla biennale veneziana del 1978 e punto di arrivo di un percorso iniziato con i disegni delle barriere, metafore di quelle barriere mentali che intrappolano l’uomo. Non manca in questo decennio ancheuna particolare attenzione alla sfera sociale, volta principalmente alla valorizzazione di luoghi e città che rischiano lo spopolamento (Arcevia 1975) o il totale abbandono (Gibellina 1979).

La città dunque resta sempre, per Staccioli, il primo interlocutore, in una relazione che si evolve dagli anni 80 in avanti e che ricerca, successivamente, pure l’integrazione con l’elemento naturale, che sia vegetale (Djerassi Foundation 1987-1991) o acquatico (come il progetto per la Laguna di Venezia del 1995).

Una costante diventa anche l’utilizzo del colore rosso, che oltre a catalizzare l’attenzione dell’osservatore, mostra l’interesse dell’artista per alcune particolarità del luogo: esso diventa il “rosso veneziano” nel ’95, il colore della terra che accoglie le sue installazioni nell’intervento per Ozieri (Sardegna, 1995) e un omaggio – unito nuovamente all’elemento triangolare – alla forma della Sicilia (Motta d’Affermo 2008).

Il Muro, 1978
Il Muro, 1978

 

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Written by Martina Pastura

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