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Michele Mommi: vi racconto “Centroamerica diferente”

Centroamerica diferente”, il primo progetto della cooperazione italiana sui diritti LGBTI, si sta svolgendo da Febbraio 2014 in Nicaragua, Honduras, El Salvador e Guatemala, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea. Michele Mommi, responsabile della Cooperazione internazionale di Arcigay, una delle organizzazioni partner del progetto, racconta la recentemente partecipazione ad una missione di monitoraggio nella regione.
Com’è nata l’idea di un progetto di cooperazione sui diritti LGBTI?
Durante i miei studi in Cooperazione allo Sviluppo mi sono reso conto che le ong italiane che lavorano nel campo non avevano ancora preso in considerazione la tematica delle discriminazioni per orientamento sessuale o identità di genere, seppure in molte realtà costituisce un problema che dovrebbe far allarmare chi lavora per migliorare le condizioni di alcune zone del mondo. Ho avuto poi la fortuna di conoscere due ong italiane che da anni operano in America Centrale, Terranuova Onlus e Re.Te, con le quali sin da subito è emersa un’unità di vedute. Abbiamo quindi individuato lo “Strumento europeo per la democrazia e diritti umani” quale linea di finanziamento utile per finanziare la nostra idea progettuale, in quanto ha come obiettivo proprio quello di aumentare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nei luoghi nei quali sono maggiormente minacciate, comprendendo espressamente i diritti LGBTI (anche se solo dal 2006 grazie alla pressione di ILGA-Europe).
Puoi descriverci la situazione delle persone LGBTI nei 4 Paesi destinatari del progetto?
Nei 4 paesi centroamericani sussistono situazioni preoccupanti di violenza contro la popolazione, che assumono caratteristiche più forti se questa violenza è diretta verso i gruppi vulnerabili, comprese le persone LGBTI e i difensori dei loro diritti.
La comunità LGBTI, pertanto, pur vivendo in Paesi nei quali l’omosessualità non è criminalizzata e dove, in diversa misura, sono in atto processi di instaurazione dello Stato di diritto, vive una situazione caratterizzata da una grave mancanza di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che vengono sistematicamente violati e la cui sicurezza umana è seriamente minacciata, anche attraverso lo stigma, la cultura omofobica e la “complicità silenziosa” di importanti settori della popolazione.
Tale situazione si concretizza in una sistematica discriminazione nell’accesso ai servizi e alle opportunità (specialmente nelle strutture educative e sanitarie e nel mondo del lavoro), frequenti casi di violenza psicologica, fisica, sessuale, che sfociano persino in omicidi e che colpiscono specialmente i settori più visibili della comunità, ovvero gli attivisti e le persone transgender.
Emblematico è ad esempio il caso dell’Honduras, considerato il Paese non in guerra più violento al mondo (secondo le Nazioni Unite), nel quale in soli 3 anni si sono registrati 57 omicidi di persone LGBTI, crimini rimasti in gran parte impuniti. La situazione negli altri 3 Paesi è relativamente simile non solo a causa della cultura “machista” imperante nella regione, ma anche per il problema endemico delle bande armate che operano piuttosto indisturbate nei 4 Paesi. Dopo decenni di conflitti armati o guerre civili che hanno caratterizzato la storia recente della regione, sono mancati seri programmi governativi di reinserimento sociale dei combattenti, che hanno quindi continuato a delinquere, aiutati in questo dalle opportunità offerte dal narcotraffico, che ha reso l’America Centrale uno snodo chiave di passaggio delle merci dai Paesi produttori di droga (Sud America) a quelli consumatori (Nord America).
Basti pensare che alcune di queste bande utilizzano sistematicamente la violenza verso le persone transgender come pratica d’iniziazione.
Come intende intervenire il progetto “Centroamerica diffente” in questo contesto?
Innanzitutto lavorando a diretto contatto con associazioni LGBTI locali, responsabili dello sviluppo del progetto in ciascun Paese. Il finanziamento gli sta permettendo di rafforzare alcune competenze di gestione e di raccolta fondi e di coinvolgere quei gruppi LGBTI che operano nelle zone più emarginate del Paese.
Inoltre, abbiamo l’intenzione di creare un’Osservatorio regionale sulla violazione dei diritti LGBTI, che raccolga informazioni e dati sulle violazioni che spesso non vengono denunciate alle autorità, per timore di ulteriori discriminazioni o per semplice sfiducia nel procedimento giudiziario, ma che saranno utili per elaborare Rapporti “ombra”, in contrasto con quelli ufficiali degli Stati che descrivono una situazione più rosea di rispetto dei diritti umani. Allo stesso tempo, ci siamo posti l’obiettivo di sensibilizzare anche i funzionari pubblici, che verranno coinvolti in un corso su “governabilità e diritti LGBTI”.
Altrettanto importanti saranno infine le campagne contro l’omofobia e la transfobia e le opportunità di fare rete, a livello nazionale (tra associazioni LGBT, organizzazioni internazionali ed autorità nazionali che si occupano di diritti umani), a livello centroamericano (tra i vari Paesi partner del progetto) ed internazionale (in particolar modo con l’Italia, dove verranno a breve due attivisti centroamericani).
Quale realtà ti ha colpito di più durante la missione che hai realizzato nei 4 Paesi?
Devo ammettere che è stato emotivamente forte passare da una mera descrizione scritta in un progetto a toccare con mano la quotidianità degli attivisti LGBTI centroamericani: persone che non hanno la possibilità di accedere al mondo del lavoro a causa della loro visibilità e che fortunatamente trovano impiego grazie a vari progetti dei donors internazionali. Ma soprattutto persone che mi hanno raccontato di colleghi attivisti uccisi e di aggressioni subite da loro stessi. Ho trovato un grande senso di comunità anche in zone dove l’ultima cosa che avrei pensato era quella di trovare un gruppo LGBTI organizzato, nella foresta di El Salvador o nelle montagne del Guatemala. Insomma una grande lezione sul senso di attivismo, quando si continua a lottare, pur consapevoli di rischiare la propria vita.
Perché un progetto di cooperazione in America Centrale, quando ancora in Italia la comunità LGBTI deve ancora raggiungere molti traguardi?
Allo stesso modo per cui si fanno progetti di cooperazione per migliorare la condizione della donna in molti Paesi, quando ancora in Italia siamo lontani dalla parità di genere. La cooperazione allo sviluppo è un dare e ricevere e sono convinto che Arcigay potrà trarre molto da questo progetto. E soprattutto sono convinto che ogni avanzamento della situazione LGBTI nel mondo sia un successo per tutte le persone che si impegnano per i diritti LGBTI, anche in Italia.
centroamerica diferente
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