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One shot, one kill – p.2

di Simon Rebel
Il tintinnio elettronico seguito dal rumore di aria compressa che fa aprire le ante, attira subito l’attenzione dei soggetti rimasti all’interno della sala, che saranno ancora una ventina: quelli che stavano divorando gli intestini dei cadaveri si voltano lentamente nella mia direzione, iniziano ad alzarsi e camminare verso di me.
Gli altri, tutti, fanno lo stesso.
Il guaio maggiore è che, probabilmente attirati dal movimento degli altri, anche parte di quelli usciti in strada inseguendo la Bergati rientrano all’interno. La sala è nuovamente quasi piena di quelle cose.
Si muovono tutti, in massa, verso di me. E ora capisco cosa ha provato quella ragazza durante la sua fuga. Bene. Devo prendermi qualche secondo per ragionare. Rientrare nella porta sarebbe un suicidio: dentro sarei al sicuro, ma in quattro metri quadrati. Senza cibo e acqua. E una volta che l’ingresso fosse stato braccato da tutti quei mostri, non avrei altra uscita. Allora controllo che nessuno di loro inizi a correre. No.
Camminano tutti. Più, meno o per niente claudicanti, ma camminano. Tutti. Sono lenti. Non so perché, ma sono lenti. Si, saranno lenti, ma continuano a muoversi, mi dico subito dopo.
Ma posso farcela. Sono lenti, continuo a ripetermi. Puoi farcela, sono lenti. Può anche essere. Ma devi sbrigarti, coglione. Prima che ti chiudano ogni spazio di fuga.
Emettono dei rantoli inquietanti, ringhiano come lupi, e continuano ad avvicinarsi a me. Muovo i miei primi passi, li osservo, e continuo a ragionare.
Altro punto a mio favore: la sala è enorme. Spostandosi verso di me stanno liberando il lato est della sala: quindi passando dietro il banco della recezione avrei un sacco di spazio per guadagnare metri, forse arrivare anche a metà sala. Ma devo muovermi. Ora.
Corro quindi in quella direzione, schivo un paio di loro, raggiungo il banco. Lo percorro velocemente per la sua lunghezza, evitando le braccia di quelli posti al di là. Come avevo pensato, giunto al margine opposto ho un buon corridoio ora per avanzare, ed in effetti arrivo quasi a metà della sala. Ora mi fermo un secondo, pur avendo intuito che ogni secondo passato fermo è un rischio enorme. Inizio ad analizzare la successi vaporzione di suolo da percorrere per avvicinarmi ancora all’uscita, e decido: devo andare verso il centro ora, è la zona più sgombra. Così faccio.
Riesco ad arrivare a metà sala, faccio anche qualche altro metro. Ma ora la sensazione è davvero terrificante: so di non essere più dietro una porta blindata, e so che non ho più né un muro dietro di me, né un grosso bancone davanti. Ora so di averne anche alle spalle di quelle cose, e a destra, a sinistra, e davanti. E che si avvicinano.
Tutti. Lentamente, ma inesorabilmente. Se rimango troppo tempo fermo, sarò a breve accerchiato. Ma se mi dirigo nella direzione sbagliata, sono fottuto lo stesso.
Questa è un’altra di quelle partite di cui parlavo. Una specie di partita a scacci. Ma di quelle che si devono vincere e basta. Di quelle che se le perdi non ci sarà il ritorno.
Hai un solo tiro. E se lo sbagli, non ce ne sarà un altro. Oneshot, onekill.
Faccio la mia scelta. Mi appresto a camminare a passo svelto verso sinistra. Riesco a guadagnare altri dieci metri. La litania ringhiata da quella mandria di demoni, amplificata dall’eco della struttura, sta diventando ossessionante. Accorcia ancora di più il fiato.
Un paio di loro arrivano ora ad una distanza da me che inizia ad essere davvero esigua. Eccessivamente esigua. Inquietantemente scarsa. Faccio un movimento rapido, il cuore si ferma. Riesco a scansarli.
Ora procedo a passo più lento, ora la loro presenza è più fitta. Individuo un’altra zona abbastanza libera. Riesco a raggiungerla. Sono a dieci metri scarsi dalla porta. Ma li davanti…continua la lettura

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Written by Yepper

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