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Arte liberata 1937-1947: a Roma una mostra ricorda i capolavori salvati dalla guerra. Le storie di chi protesse il patrimonio culturale italiano

Di Benedetta La Corte

ROMA (nostro servizio particolare). Sono state un centinaio le opere d’arte italiane che durante la Seconda Guerra mondiale vengono messe in salvo da uomini e donne temerari.

Giorgio Castelfranco al centro, insieme ad altri ufficiali e addetti presso il Central  Collecting Point a Monaco (1947)

Guidano camion non sicuri, malandati, talvolta senza fari, di notte. Qualcuno con la propria auto “Topolino” o anche in bicicletta cerca di trovare un posto sicuro, in un’infernale estate del 1944, a questi immensi patrimoni.

Senza il difficile, delicato e dedicato compito di queste persone, oggi la nostra cultura in tuttii campi – artistico, culturale e storico – avrebbe subito danni incalcolabili.

Opere come la “Tempesta” di Giorgione, “La Flagellazione” di Piero della Francesca, “La Cena in Emmaus” di Caravaggio, “La Crocefissione” e” La Discesa dello Spirito Santo” entrambi di Luca Signorelli, il “Cristo Morto” di Andrea Mantegna (adesso conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano) le “Meteope di Selinunte” (oggi a Palermo) sarebbero finite all’estero o distrutte sotto le bombe del nemico, perdute per sempre.

Luca Signorelli: “La discesa dello Spirito Santo”

LA MOSTRA ARTE LIBERATA 1937-1947. CAPOLAVORI SALVATI DALLA GUERRA

“Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra”, è il titolo della mostra, ospitata alle Scuderie del Quirinale a Roma e conclusasi nei giorni scorsi.

Anche parte del patrimonio libraio salvato dalla guerra

Ma chi fosse ancora interessato la può visitare, in maniera virtuale, cliccando su questo il link: https://arteliberata.orpheo.app/#it/2d67d4ad-a958-469f-b6ab-39ee74dcd499/f71eee78-d000-404e-ab36-a1fcf844bf8d.

Ad aprire la mostra è il “Discobolo Lancellotti”. Fa parte del primo filone che riguarda le “esportazioni forzate e il mercato dell’arte”.

Si tratta di una copia romana, databile al II secolo d.C, del bronzo greco di Mirone, che raffigura un giovane atleta colto nell’attimo prima del lancio del disco.

ll Discobolo di Lancellotti. Sullo sfondo Adolf Hitler

Adolf Hitler, durante la sua visita in Italia nel maggio del 1938, rimase colpito dalla bellezza e perfezione della statua, considerata “emblema della razza ariana”.

Chiese perciò di portarla con sé in Germania. Ebbe la concessione da parte di alcuni gerarchi fascisti e il capolavoro venne trasportato nella Glyptothek di Monaco di Baviera, un dono del dittatore al popolo tedesco.

L’ambizione di Hitler, mancato pittore ed architetto, fu quella di costruire un grande museo, il “Führermuseum”, a Linz, in Austria.

Un’immagine del Führermuseum

Un’idea che poteva realizzarsi magari esponendo proprio questa nostra opera d’arte, frutto di una “vendita forzata” di cinque milioni di lire.

Anche il Maresciallo Hermann Goering, collaboratore di Hitler, mostrò la sua stessa passione e cupidigia per le opere d’arte italiane. Si appropriò, infatti, del “Il Cerbiatto di Ercolano”, strappato al Museo di Napoli, ed usato per abbellire la sua tenuta di caccia.

Il Cerbiatto di Ercolano. Sullo sfondo un’immagine di Goering

La seconda parte della mostra è dedicata agli “spostamenti e ricoveri”, cui figura di spicco è il ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Nel 1938, il ministro con la circolare numero 158, invitò tutti i soprintendenti e gli uffici dipendenti a catalogare tutte le opere distinguendo i beni di “alto pregio”, insieme alle opere più fragili che non potevano essere spostate, da quelli di “secondaria importanza”.

La Circolare numero 158, del 1938, inviata dal ministro Bottai a tutti i soprintendenti

Nel 1939, a tre mesi esatti dall’invasione della Polonia da parte della Germania, Bottai con un’azione, che potremmo definire, lungimirante, firmò una legge, la numero 1089, che prevedeva “la tutela delle cose di interesse artistico o storico”.

 

I tedeschi invadono la Polonia (1939)

Questa è ancora oggi fondamento del nostro sistema di tutela nazionale, ripresa nell’articolo 9 della nostra Costituzione (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione).

Iniziano una serie di operazioni come il piano di protezione antiaerea in cui i palazzi di grande valore storico-artistico vengono puntellati ed imbottiti con sacchi di sabbia per essere protetti.

Vengono fabbricate delle casse di legno, rivestite con materiale ignifugo, che servono a protezione di fontane, statue, fregi, chiese. Si progetta infine lo spostamento delle opere d’arte in luoghi più sicuri.

Altra figura chiave di questa sezione è Pasquale Rotondi, giovanissimo soprintendente delle Marche, che con l’entrata in guerra si ritrova a proteggere e gestire il patrimonio più importante d’Italia.

Pasquale Rotondi

Riceve infatti l’incarico da Bottai di organizzare il grande rifugio per opere d’arte nazionali mobili.

Sono circa 10 mila le opere che arrivano da tutta Italia e che vengono ricoverate presso un deposito ad Urbino. La città, tuttavia, non è molto sicura in quanto è nascosto un arsenale della Regia Aeronautica, quindi potrebbe essere un potenziale bersaglio del nemico.

Questo problema spinge Rotondi ad individuare altri rifugi. Le opere vengono trasferite nella Rocca quattrocentesca di Sassocorvaro e nella villa dei principi Falconieri di Carpegna.

Nel 1940 arriveranno nella Rocca preziosissime ceramiche provenienti dal Museo civico di Pesaro, imballate in tutta fretta.

Ricordiamo un aneddoto legato a Rotondi. Quando i tedeschi arriveranno a Carpegna nel 1943 Rotondi carico’, alcune fra le opere  di dimensioni “più piccole”, nella sua macchina.

Si trattava di capolavori quali la “Tempesta” di Giorgione e il “San Giorgio” di Mantegna che vengono  nascosti nella sua camera da letto.

A 14 anni dalla sua morte, nel 2015, Pasquale Rotondi venne nsignito alla memoria della Medaglia d’Oro a Valore civile, dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Da non dimenticare Emilio Lavagnino, protagonista del salvataggio delle opere d’arte del Lazio.

Emilio Lavagnino

Collaborò a stretto contatto con Rotondi, trasportando molte delle opere nascoste nelle Marche mettendole al sicuro in Vaticano, dove lavorava come Direttore generale dei Monumenti, Musei e Gallerie pontifici.

A bordo della sua “Topolino”, girò il Lazio in lungo e largo, portando in salvo molti capolavori .

Si recò anche nei luoghi più a rischio di bombardamenti come Viterbo, Sutri, Montefiascone, Bagnoregio, Orvieto, Bolsena, Orte, Civita Castellana.

A lui è collegata l’impresa “più memorabile”: quella di Fondi,.

Fu definità così da lui stesso, perché piena di difficoltà da affrontare. In una città ad “alto rischio” trasse  in salvo poche opere, ma importantissime.

Collaborerà anche con Palma Bucarelli, una stimata collega, ispettrice della Galleria Borghese, a cui Lavagnino chiese delle gomme di ricambio per la sua “Topolino”, veicolo utilizzato anche dalla Bucarelli.

Palma Bucarelli

Donna incredibile, “partigiana dell’arte”, alla guida di un camioncino arrivò sino a Caprarola per riprendersi le opere ricoverate aGalleria Borghese, e per riportarle nella Galleria d’Arte Moderna.

E così fece Fernanda Wittgens che riuscì a mettere in salvo i “capolavorissimi”, come li definisce lei stessa spostandoli dalla Pinacoteca di Brera all’Italia centrale, fra questi: Il “Cristo Morto” e “La Madonna dei Cherubini” e il “Polittico di San Luca di Mantegna”, lo “Sposalizio della Vergine” di Raffello e la “Cena a Emmaus” di Caravaggio.

Fernanda Wittgens

Un’altra protagonista che va ricordata è Jole Bovio Marconi, archeologa e direttrice del Museo Nazionale di Palermo, successivamente anche Soprintendente di Trapani e Palermo.

Jole Bovio Marconi

Riuscì a far trasportare dal Museo Nazionale “Le Metope” di Selinunte, facendo più viaggi per via della pesantezza dei vari blocchi. Trasportò anche i meravigliosi mosaici romani di Palermo, all’Abbazia di San Martino delle Scale, una località montanara, lontano dai pericoli.

Collaborerà con i Monuments Men sbarcati in Sicilia gestendo con piglio le operazioni di spostamento di 200 casse di beni.

Il terzo filone della mostra vede “la fine del conflitto e le restituzioni” delle opere d’arte sottratte all’Italia.

Importante è il ruolo del gruppo militare composto da professionisti dell’arte, provenienti dai 13 Paesi Alleati che presero parte del “Monuments, Fine Arts, and Archives Program” (MFAA), a cui si affiancano alcuni funzionari italiani.

ll Monuments Man, Tenente Frederick Hartt (Firenze, 1945)

Scopo del programma è quello di proteggere i beni culturali e le opere d’arte nelle zone di guerra. Grazie al loro lavoro furono trovati oltre cento mila pezzi d’arte dispersi durante la guerra.

Nel 1969 venne istituito il Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) che si occupò di fermare il fenomeno della contraffazione dell’arte, degli scavi clandestini e dei traffici illeciti delle opere d’arte.

Stemma dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale

Ad oggi sono state recuperate più di 3 milioni di beni culturali.

Nel 2016 è stato sottoscritto il Memorandum of Understanding dall’Italia, primo Paese che ha messo a disposizione dell’UNESCO una Task Force chiamata “Caschi Blu della cultura”, operativa a livello internazionale.

Chiude cronologicamente il percorso espositivo della mostra la bellissima “Danae”, capolavoro rinascimentale di Tiziano Vecellio, sottratta a Hermann Goering e finalmente rientrata nel Patrimonio del nostro Paese, dopo la fine della guerra.

La “Danae” di Tiziano Vecellio

Una resistenza quella dell’arte combattuta senza armi per la difesa e il salvataggio dell’identità storico e culturale dell’Italia nella “consapevolezza che è impossibile guardare il futuro senza tutelare il passato che ci ha generato”, come nota il giornalista Paolo Conti, autore di un  opuscolo per la mostra.

 

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