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Carabinieri: 30 anni fa a Palermo l’arresto di Totò Riina. Fu poi detenuto nel carcere dove morì nel 2017

PALERMO. Il 15 gennaio 1993, grazie ad una grande operazione dei Carabinieri, denominata “Belva” dopo una lunga latitanza  il capo dei capi di Cosa Nostra, Salavore (Totò) Riina finiva, finalmente, in manette.

 

Fu, senza dubbio, il primo passo della offensiva dello Stato contro la mafia dopo le stragi dell’anno precedente, quando furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme agli agenti delle loro scorte.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in una foto storica

Quel giorno i militari dell’Arma intercettarono l’auto del capo mafia non appena era uscita dal residence dove abitava, da tempo, con la famiglia.

A guidare l’operazione il Capitano Ultimo. Con i Carabinieri c’era il pentito Baldassare Di Maggio che riconobbe Salvatore Biondino e Totò Riina a bordo di un’auto.

Un’immagine del Capitano Ultimo

Il capo mafia era seduto sul sedile passeggero dell’utilitaria guidata da Salvatore Biondino.

L’auto fu bloccata intorno alle 8,30 sulla rotonda di via Leonardo da Vinci, a Palermo.

Il capitano Ultimo aprì lo sportello e disse: “Riina, lei è catturato per mano dei Carabinieri”.

Salvatore Riina rimase in carcere fino alla sua morte avvenuta il 17 novembre 2017.

Era di venerdì, come il giorno del suo arresto. Di tutti i suoi crimini non ha mai fatto nessuna ammissione

La scena del delitto di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e della scorta

Intanto, in un tweet il ministro della Difesa, Guido Crosetto ha scritto: “Trent’anni fa a Palermo i Carabinieri arrestavano #Riina. Una grande vittoria dello Stato contro la mafia. Prosegue l’impegno di Difesa e Arma, più che mai baluardo di democrazia. A coloro che operano a tutela di legalità e giustizia il nostro grazie.

Riina era legato a Cosa nostra, di cui è stato il capo assoluto dal 1982 fino al suo arresto.

E’ generalmente ritenuto il più potente, pericoloso e sanguinario mafioso di sempre, venendo etichettato come il Capo dei capi e con i soprannomi û curtu (il basso), per via della sua bassa statura e la belva, per indicare la sua brutalità sanguinaria

IL PROCESSO DOPO L’ARRESTO

ll 1º marzo 1993, Riina fece la sua prima apparizione pubblica dopo l’arresto durante un’udienza del processo per gli omicidi MattarellaReinaLa Torre, in cui figurava come imputato.

Un’immagine dell’omicidio di Piersantii Mattarella

Nel corso del dibattimento ai giudici, affermò di essere vittima di un complotto ordito dai cosiddetti “pentiti” e negò addirittura di far parte di Cosa Nostra, paragonandosi al noto presentatore Enzo Tortora.

Chiese così, ed ottenne, di essere messo a confronto con i suoi principali accusatori, i collaboratori di giustizia Giuseppe Marchese e Gaspare Mutolo (confronti che ottennero visibilità nazionale poiché vennero trasmessi dal programma televisivo di Rai 3  Un giorno in pretura).

Mentre quello con Tommaso Buscetta venne in un primo momento richiesto e poi rifiutato dallo stesso Riina in aula poiché affermò che era un personaggio di scarsa moralità rispetto a lui.

A partire dal dicembre 1995, Riina venne rinchiuso nel supercarcere dell’Asinara, in Sardegna

In seguito fu trasferito al carcere di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), dove, per circa tre anni, fu sottoposto al carcere duro, previsto per chi commette reati di mafia (41-bis dell’Ordinamento penitenziario).

Il 12 marzo 2001 gli venne revocato l’isolamento, consentendogli di fatto la possibilità di vedere altri detenuti nell’ora di libertà.

Proprio mentre era sottoposto a regime di 41-bis, il 24 maggio 1994, durante una pausa del processo di primo grado a Reggio Calabria per l’uccisione del giudice Antonino Scopelliti, fu raggiunto da Michele Carlino, giornalista di un’agenzia video (Med Media News), al quale rilasciò dichiarazioni minacciose contro il procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli e altri rappresentanti delle istituzioni e della cultura (Luciano Violante, all’epoca presidente della Commissione antimafia, e il sociologo Pino Arlacchi), accusandoli di fare parte di un presunto complotto “comunista” ai suoi danni e lamentandosi delle severe condizioni imposte dal carcere duro.

Il giudice Giancarlo Caselli

L’intervento di Riina causò l’apertura di un provvedimento disciplinare da parte del Consiglio Superiore della Magistratura contro il pubblico ministero Salvatore Boemi, accusato di non aver vigilato sul detenuto.

Dopo pochi mesi dalle dichiarazioni del boss corleonese il regime di 41-bis (allora valido per soli tre anni, decorsi i quali decadeva la sua applicabilità) è stato rafforzato mediante vari interventi legislativi volti a renderlo prorogabile di anno in anno.

GLI ULTIMI ANNI E LA MORTE

A metà marzo del 2003 subì un intervento chirurgico per problemi cardiaci e nel maggio dello stesso anno venne ricoverato nell’ospedale di Ascoli Piceno per un infarto.

Totò Riina in carcere

Nel settembre dello stesso anno venne nuovamente ricoverato per problemi cardiaci.

Trasferito nel carcere di Opera, dove doveva scontare 26 ergastoli,venne nuovamente ricoverato nel 2006, sempre per problemi cardiaci, all’ospedale San Paolo di Milano.

Nel 2017, gli avvocati di Riina fecero richiesta al tribunale di sorveglianza di Bologna per il differimento della pena a detenzione domiciliare, sottoponendo come motivazione lo stato precario di salute dello stesso boss.

Il 19 luglio il Tribunale si pronunciò negativamente su questa istanza, spiegando che Riina “non potrebbe ricevere cure e assistenza migliori in altro reparto ospedaliero, ossia nel luogo in cui ha chiesto di fruire della detenzione domiciliare”.

Dopo essere entrato in coma in seguito all’aggravarsi delle condizioni di salute, Riina morì alle ore 3.37 del 17 novembre 2017, il giorno successivo al suo 80° compleanno, nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma.

A seguito del decesso, la Procura di Parma dispose l’esecuzione dell’autopsia della salma per escludere un potenziale caso di omicidio colposo o doloso a carico di ignoti.

L’autopsia fu eseguita dall’anatomopatologa Rosa Maria Gaudio, dell’Università di Ferrara.

Nei giorni successivi “il capo dei capi” fu sepolto nel cimitero di Corleone.

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