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Cina: nuova prova di forza nei confronti di Taiwan, ma, quantunque Pechino possa desiderarlo, l’invasione non è certo dietro l’angolo

Di Fabrizio Scarinci

PECHINO. Non accennano a fermarsi le incursioni della Repubblica Popolare Cinese nei confronti di Taiwan.

Circa 12 ore fa, infatti, 9 unità della People’s Liberation Army Navy e ben 34 velivoli appartenenti alla People’s Liberation Army Air Force si sarebbero avvicinati all’isola, facendo scattare le procedure di risposta del suo apparato militare.

Stando a quanto riportato, tale incursione sembrerebbe la più vasta dal 26 dicembre scorso, quando a violare la Zona di Identificazione della Difesa Aerea e le acque territoriali della “Repubblica di Cina” furono addirittura 71 aerei e 7 navi.

Un Su-30 MKK della People’s Liberation Army Air Force

Queste azioni, volte, presumibilmente, sia a tenere sotto pressione il governo di Taipei, sia a testare le effettive capacità di risposta del suo apparato difensivo, risultano pienamente in linea con la volontà, più volte espressa da Pechino, di riannettere l’isola entro l’anno 2050.

Cionondimeno, il giorno in cui le Forze Armate della Repubblica Popolare potrebbero davvero tentare uno sbarco sembrerebbe ancora relativamente lontano, e questo per almeno due ragioni principali: la prima data dal fatto che, pur di difendere Taipei, che costituisce un formidabile ostacolo per le ambizioni oceaniche della Cina, Washington sarebbe disposta anche ad un confronto militare diretto con Pechino, e la seconda costituita dal fatto che, almeno per il momento, l’apparato militare cinese potrebbe, molto banalmente, non essere in grado di condurre con successo, o, quantomeno, in modo rapido (condizione essenziale per cercare, eventualmente, di mettere gli USA di fronte ad un fatto compiuto o “semi-compiuto”) un simile tipo di operazione.

A tal proposito occorre, infatti, sottolineare non solo come le operazioni anfibie rappresentino, già di per sé, una delle più complicate tipologie di azioni militari che ci si possa trovare a condurre, ma anche il fatto che, attaccando Taiwan, i cinesi si troverebbero a dover fronteggiare (con i loro sistemi in parte obsoleti e in parte moderni, ma, in ogni caso, mai seriamente “testati”) un apparato militare di tipo avanzato e decisamente ben strutturato, che, anche qualora venisse a trovarsi in una situazione difficile a causa dei suoi numeri relativamente scarsi (cosa che comunque non dovrebbe avvenire oggi, dato che, a meno di non utilizzare armamenti nucleari di tipo tattico, con le sue attuali capacità Pechino potrebbe perfino non essere in grado di sbarcare), sarebbe comunque in grado di infliggere loro delle perdite decisamente molto gravi.

Per tale ragione, malgrado la volontà della Cina di conseguire quanto prima i suoi obiettivi “da superpotenza” (se non altro perché, con la sua lunga stagione di crescita economica e demografica ormai giunta al termine, a partire dal prossimi decenni potrebbe non godere più dell’elevato livello di “potere potenziale” di cui dispone ora), è comunque lecito immaginare che, almeno nell’immediato futuro, ad azioni come quelle di ieri non faccia seguito nessuna operazione di tipo più ampio.

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