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Mediterraneo, nuovo rapporto sulle economie del CNR-ISSM. In aumento la popolazione che guadagna solo 2 dollari al giorno

Napoli. Sarà presentato, lunedì a Napoli, il Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2018 a cura dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR-ISSM) edito da Il Mulino.

L’economia del Mediterraneo al centro del nuovo rapporto del CNR-ISSM

Al centro del volume, le disparità tra i Paesi della sponda settentrionale e quelli della sponda sud-orientale ed i gap sociali nei singoli Stati del Mare Nostrum, lo sviluppo economico e la gestione del fenomeno migratorio. Parteciperanno all’evento il ministro dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare Sergio Costa, il direttore generale del Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo Riccardo Rigillo ed il presidente del CNR Massimo Inguscio.

All’evento, che si svolgerà nell’ambito del workshop dedicato all’ambiente, al clima ed alle prospettive di sviluppo nel Mediterraneo.
“Il quadro geopolitico internazionale molto fluido, i rapporti tra i diversi attori internazionali e regionali, l’elevata instabilità e conflittualità della regione sono tra i fattori alla base di molti fenomeni analizzati nel Rapporto – spiega Salvatore Capasso, direttore del CNR-ISSM -. Tra questi, il cosiddetto eccezionalismo arabo, cioè l’apparente inconciliabilità tra governance democratica e sviluppo economico nei Paesi meridionali ed orientali del bacino, dove permangono forti differenze nella distribuzione delle risorse che ostacolano una crescita inclusiva, pur in un contesto di attenuazione delle divergenze di reddito e di crescita tra Paesi a nord e a sud del Mediterraneo”.

Il Rapporto è giunto quest’anno alla quattordicesima edizione. Analizza aspetti diversi che vanno dalla governance istituzionale, allo sviluppo economico fino alla gestione del fenomeno migratorio ed alle fondate ipotesi di complementarietà e prospettive di integrazione tra due sponde del bacino.

“Nei Paesi mediterranei del Sud la quota di popolazione sotto la soglia minima di povertà (1 dollaro al giorno) è bassa, ma aumenta drasticamente se si assume la soglia di 2 dollari al giorno. Una gran parte della popolazione è quindi soggetta al minimo shock negativo, per esempio quando i prezzi del cibo o del carburante aumentano – aggiunge Anna Maria Ferragina, ricercatrice associata dl CNR-ISSM ed autrice del Rapporto -. Sono inoltre tipiche di quest’area le dicotomie fra aree urbane e rurali, l’inaccessibilità di alcune aree, la densità costiera, che creano una forte competizione in attività come turismo, agricoltura o pesca”.

Nei Paesi del Nord Africa il 90% degli abitanti vive in meno del 10% della superficie disponibile e quasi il 40% della popolazione (oltre 110 milioni di persone) vive entro 50 chilometri dalla costa, evidenzia ancora la ricercatrice. Il tutto “con enormi implicazioni in termini di urbanizzazione e di vulnerabilità ai possibili impatti del cambiamento climatico”.

Il dato si riflette indirettamente nelle notevoli disparità di mortalità neonatale fra province dei vari Paesi: in Egitto le diseguaglianze maggiori, dal 21 al 64 per mille, segue il Marocco (dal 28 al 65 per mille).

“Esistono inoltre profonde differenze nell’accesso all’istruzione legate ai divari di reddito – conclude la Ferragina -. La percentuale di giovani che abbandona la scuola, tra il quinto della popolazione con massimo e minimo reddito, è di 28 punti in Egitto, 25 in Giordania, 35 in Siria, 51 in Turchia, 59 in Marocco”.

La pressione demografica secondo gli autori spiega solo in parte le ragioni delle migrazioni all’interno del bacino che, come emerge da diversi capitoli del Rapporto, sono dovute a una serie composita di elementi: struttura dell’economia, distribuzione della ricchezza, sviluppo delle tipologie professionali.

In merito alla gestione del fenomeno migratorio nei Paesi nord-mediterranei, il Rapporto sottolinea gli aspetti positivi della gestione congiunta dei flussi tra Paesi di partenza e di arrivo con gli accordi bilaterali.

“Il divario tra le due sponde in termini di reddito si è ridotto e la quota ‘intercettata’ dai Paesi del Mediterraneo sud-orientale, grazie anche al flusso di Investimenti diretti esteri (Ide), è passata dal 10,1% del 1996 al 21,2% del 2016, mentre è parallelamente scesa la quota degli Ide in entrata nei Paesi nord-mediterranei – spiega Capasso -. Tale flusso ha favorito una maggiore integrazione tra i sistemi produttivi delle due sponde e la crescita dell’export dei Paesi meridionali, il cui contributo al commercio mondiale è passato dall’1,5% al 2,5% nel corso dell’ultimo ventennio, nel corso del quale quello dei Paesi nord-mediterranei è sceso dal 13,1% al 9%”.

Tema centrale per il futuro delle società del Mediterraneo è l’ambiente e gli effetti di medio-lungo periodo del cambiamento climatico. Se l’intera area risulta esposta a forti rischi, al suo interno sono i Paesi della sponda sud-orientale a presentare i più elevati indici di vulnerabilità, oltre che minori capacità di risposta a causa di più bassi livelli di sviluppo economico.

“Lo studio delle società del Mediterraneo richiede un approccio multidisciplinare, per la complessità dell’oggetto di analisi e per gli effetti che i diversi fattori analizzati all’interno del Rapporto hanno su di esse: geopolitica internazionale, governance locale, demografia ed economia. Un approccio che è quello tradizionalmente adottato dal nostro istituto di ricerca”, conclude il direttore del CNR-ISSM.

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