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Afghanistan: l’intervento integrale del ministro Guerini al Parlamento

Roma. Oggi il ministro della difesa Lorenzo Guerini si è rivolto al Parlamento per fare il punto sulla situazione in Afghanistan dopo il definitivo ritiro delle truppe e la presa del potere da parte dei talebani. Infatti il ministro e’ intervenuto, oggi in aula alla Camera e al Senato della Repubblica, per informare i parlamentari sulla situazione nel Paese mediorientale.

Report Difesa pubblica il testo integrale dell’intervento.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini

“Presidente, Onorevoli Colleghi, mi permetterete di rivolgere fin da subito un pensiero riconoscente alle nostre Forze Armate per lo straordinario impegno, la grande professionalità e la profonda umanità che ancora una volta hanno dimostrato nell’affrontare la crisi afghana. Sono certo di interpretare anche il vostro sentimento. Nell’accogliere a Ciampino il rientro dell’ultimo volo, insieme ai sottosegretari e ai presidenti delle Commissioni Difesa, ho detto loro che il Paese è orgoglioso della straordinaria impresa umanitaria che hanno condotto e che ha reso lustro e onore al nostro Paese.

Dopo il collega Di Maio, che voglio qui ringraziare per l’intensa collaborazione di queste settimane, articolerò questo mio intervento sugli sviluppi della crisi afgana con l’obiettivo di illustrare le azioni messe in campo dalla Difesa e di condividere una chiave di lettura per quanto avvenuto e una interpretativa rispetto ai possibili sviluppi della situazione e delle sue ripercussioni sul futuro della politica di difesa e sicurezza, nel contesto dello scenario geopolitico attuale.

Nel ripercorrere brevemente le azioni attuate dalla Difesa all’indomani dell’annuncio della conclusione della missione della NATO, vi riporto oggi il consuntivo finale dell’operazione di evacuazione dei cittadini afgani, rimandando per i dettagli alle mie comunicazioni dello scorso 24 agosto, alle Commissioni congiunte di Esteri e Difesa.

L’operazione Aquila Omnia ha portato in Italia 5011 persone, comprensive del personale della nostra Ambasciata e altri cittadini italiani, di cui 4890 afgani. Siamo di fronte a un numero decisamente superiore a quello dei collaboratori diretti del nostro contingente e della nostra missione diplomatica e dei loro familiari, dal momento che le attività di trasporto hanno riguardato anche: attivisti dei diritti umani e dei diritti delle donne, giornalisti, membri delle istituzioni e collaboratori delle organizzazioni non governative italiane presenti sul territorio in questi anni, individuati con criteri analoghi e condivisi con gli altri paesi Alleati.

Un’operazione prettamente militare che ha comportato un notevole sforzo organizzativo e operativo, sotto la guida del Comando Operativo di Vertice Interforze, in uno scenario difficile e a tratti non permissivo.

Un’operazione complessa. Sono stati eseguiti 90 voli, attraverso un consistente spiegamento di mezzi aerei (tra velivoli C130 e aerei KC 767). La presenza a Kabul di una Joint Evacuation Task Force (composta da 119 militari) ha assicurato la cornice di sicurezza, il supporto sanitario e le funzioni di comando, controllo e di comunicazioni strategiche, in stretto ed efficace coordinamento con il personale diplomatico e militare della nostra Ambasciata.

La Difesa, all’interno di una cornice organizzativa distribuita in Italia e in teatro operativo ha visto impegnato un dispositivo di oltre 1500 unità per attività di trasporto, logistiche e di supporto all’accoglienza e gestione dei rifugiati. Per questa ultima esigenza sono state messe a disposizione anche strutture militari.

Permettetemi di dire che si è trattato di un’impresa straordinaria. Merito innanzitutto delle donne e degli uomini in divisa che hanno operato con dedizione e professionalità. Non mi appassionano le classifiche, tuttavia credo che sia giusto registrare che l’Italia è risultata il paese dell’Unione Europea che ha evacuato il maggior numero di cittadini afgani, grazie anche al lavoro congiunto delle diverse articolazioni dello Stato coinvolte.

Tutte queste attività sono state svolte, inoltre, in stretto coordinamento con gli Alleati attraverso un efficace reciproco supporto. Voglio evidenziare principalmente la collaborazione con Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania, insieme ai quali siamo stati in grado di far fronte anche alle ulteriori richieste di trasporto presentate dall’Unione Europea e da altri Paesi. A loro intendo rivolgere, anche in questa sede, il mio più sincero ringraziamento.

Come ha gia sottolineato il collega Di Maio, altrettanto fondamentali sono stati i contributi dei nostri partner regionali, Qatar, Kuwait e Pakistan. Questa disponibilità è il frutto di solidi rapporti bilaterali particolarmente significativi anche sul piano tecnico militare.

Su richiesta di Washington abbiamo poi reso disponibili le basi di Aviano e Sigonella, per il transito dei civili afgani verso gli Stati Uniti.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini

Infine, nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, abbiamo offerto assetti di polizia militare, sanità e team specializzati nella cooperazione civile-militare e nel controllo dello spazio aereo, per contribuire alle attività che la NATO potrà decidere di condurre sul proprio territorio per supportare ulteriori attività di accoglienza e supporto umanitario.

Le immagini drammatiche dell’aeroporto di Kabul sono ancora davanti ai nostro occhi. Alla soddisfazione dell’impresa portata a termine si affianca il forte rammarico per le persone che non sono riuscite a partire e che aspirano a costruirsi un futuro fuori dall’Afghanistan.

Anche per questo la Difesa assicurerà la piena disponibilità per la condotta di eventuali ulteriori attività di evacuazione secondo modalità e tempistiche che necessariamente dovranno essere ponderate e coordinate nel quadro delle iniziative politico-diplomatiche illustrate ora dal Ministro Di Maio.

L’evoluzione della situazione in Afghanistan ha colto di sorpresa l’intera Comunità Internazionale, per la rapidità con cui è mutato il contesto politico-militare e per i conseguenti drammatici risvolti umanitari.

Esisteva la consapevolezza comune del rischio di una offensiva talebana nella fase immediatamente successiva al ritiro, ma – allo stesso tempo – la NATO e la maggior parte degli analisti stimavano che l’efficacia delle forze di sicurezza afgane sarebbe stata perlomeno sufficiente a contenerla.

Una stima basata sulla larga superiorità numerica della Forza afgane, la disponibilità adeguata di equipaggiamenti e le valutazioni positive in merito all’operato ed alla preparazione dei militari locali, che negli anni più recenti avevano dimostrato una capacità operativa autonoma, frutto soprattutto dell’impegno nella attività di addestramento svolto dalle forze NATO, anche in situazioni complesse.

È, tuttavia, evidente come le cose non siano andate secondo le attese.

I Talebani si sono mossi per acquisire rapidamente obiettivi di elevata valenza operativa e tattica come i varchi di confine, i principali centri abitati e le vie di comunicazione verso la capitale. Un risultato che è stato decisamente agevolato dalla quasi inesistente resistenza delle forze di sicurezza e difesa afgane, che in alcuni casi, non hanno impegnato in combattimento gli avversari, con una condotta non prevedibile ed inaspettata per le sue modalità e per le forze in campo.

Ci si deve chiedere, dunque, che cosa sia successo, cosa non sia funzionato.

Stiamo parlando di forze armate ben addestrate e ben equipaggiate che, nel corso degli anni, si erano distinte combattendo coraggiosamente, con grandi sacrifici e numerose perdite, contro Talebani, Al Qaeda ed ISIS.

Se gli accordi di Doha e la conclusione della missione Resolute Support possono avere avuto un impatto da un punto di vista motivazionale, le ragioni dello sfaldamento delle Forze di sicurezza sono da ricercare innanzitutto nella diretta conseguenza di un’evidente mancanza di coesione e in uno scarso senso di identità ascrivibile soprattutto all’atteggiamento della leadership repubblicana, che, per diversi motivi, non è stata in grado di svolgere quel ruolo di guida politica autorevole e rappresentativa che la situazione richiedeva. E questa è una delle prime e più importanti lezioni che secondo me dobbiamo recepire e approfondire.

La decisione della conclusione della missione Resolute Support è stata condivisa in ambito NATO, naturalmente all’interno di un confronto che ha visto accenti diversi tra gli alleati ma anche la volontà di essere coerenti con il valore della coesione dell’Alleanza.

Ho già avuto modo di ricordare che, durante la Ministeriale NATO dello scorso febbraio, avevo rappresentato la necessità di valutare la conferma della presenza delle forze dell’Alleanza anche oltre la scadenza del 1° maggio, prevista dagli accordi stipulati dall’amministrazione americana.

Già allora il raggiungimento delle condizioni politiche e di sicurezza previste dall’accordo appariva lontano dell’essere soddisfatto, visto lo stallo dei colloqui di pace, l’aumento significativo degli attacchi alle forze di sicurezza afgane e gli assassini mirati di rappresentanti delle istituzioni, dei media e della società civile.

Abbiamo sempre ritenuto che il dialogo intra-afgano e il mantenimento delle istituzioni repubblicane fossero le condizioni indispensabili per il futuro del Paese, ribadendo il nostro orientamento, condiviso anche da altri paesi europei, circa l’esigenza di correlare le decisioni sulla conclusione definitiva della missione a progressi tangibili di queste condizioni.

La difficoltà a raggiungerle ha fatto prevalere nelle valutazioni dell’Amministrazione americana la scelta di associare il rientro ad una approccio temporale, time-based, fissando la conclusione della missione RSM al 1° maggio ed articolando il rientro delle forze entro la data, fortemente simbolica, dell’11 settembre.

Chiaramente questo cambio di impostazione, a causa del venir meno delle capacità operative critiche funzionali al mantenimento del quadro di sicurezza generale dell’intera missione di addestramento e supporto, ha determinato condizioni tali per cui nessun altro Paese alleato poteva rimanere in Afghanistan.

Si è arrivati, di conseguenza, al meeting straordinario dello scorso 15 aprile nel quale, come ho detto, pur nella diversità degli accenti tra gli Alleati, abbiamo assunto assieme questa decisione, appunto in coerenza con il valore fondante ed irrinunciabile e da preservare della coesione dell’Alleanza.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini

Signor Presidente, Colleghi,

la cronaca di questi giorni non può e non deve far dimenticare l’impegno nazionale di questi 20 anni, nella più grande operazione militare dal termine della Seconda guerra mondiale. Naturalmente siamo ben consapevoli che i fatti accaduti hanno reso palesi alcuni significativi punti critici sui quali tornerò, ma non possiamo avviare alcuna riflessione su quanto avvenuto, senza ricordare le ragioni della missione e anche i risultati conseguiti.

All’indomani del tragico attacco alle Torri Gemelle nel 2001, a seguito dell’invocazione dell’art. 5 del Trattato nord-atlantico, siamo intervenuti con i nostri Alleati per combattere il terrorismo globale, che aveva trovato proprio in Afghanistan un rifugio sicuro, e l’aver scelto di agire, di dare il nostro contributo concreto nella lotta contro una minaccia imminente, diretta a tutto l’Occidente ed ai suoi valori, è stata una scelta non solo doverosa, ma soprattutto giusta.

La presenza di Al Qaeda nel paese è stata resa inefficace: di questo dobbiamo riconoscere il merito, senza alcun dubbio, alla NATO ed ai nostri 50.000 militari che si sono avvicendati in questi vent’anni. Prima di tutto per loro dobbiamo ricordare sempre le ragioni della nostra partecipazione. In particolare per i nostri 54 caduti e gli oltre 700 feriti, a cui va il nostro grato e deferente pensiero. Ricorderemo sempre, e con noi tutti gli italiani, il loro tributo alla sicurezza delle nostre comunità e alla difesa dei valori che incarnano la nostra Repubblica.

Se, tuttavia, abbiamo garantito che per 20 anni l’Afghanistan non tornasse ad essere un luogo sicuro per il terrorismo internazionale, non possiamo nasconderci il fallimento nell’attività di costruzione di istituzioni solide e realmente rappresentative.

Su questo punto, quello cioè dell’institution building, siamo chiamati a delle riflessioni che dovremo condurre, sia nei contesti internazionali che a livello nazionale, relativamente ai nostri modelli di intervento e alla necessità di un approccio multidimensionale, coerente, efficace e condiviso, di cui la dimensione militare è solo una delle componenti.

L’esperienza afgana ci interroga però anche su quali conseguenze possano scaturire dalla crisi in atto e sugli impatti che questa potrà avere in un area già di per sé fragile e che gioca un ruolo centrale negli equilibri geopolitici globali.

In una prospettiva più generale dobbiamo evitare che l’Afghanistan torni ad essere un luogo sicuro per la Jihad mondiale ed i recenti attentati a Kabul, con il connesso significato propagandistico, possono essere strumentalmente presentati come una vittoria e come una rinnovata affermazione delle capacità operative della galassia jihadista.

Vi è il rischio, quindi, che il deterioramento del quadro di sicurezza si estenda a quelle regioni di elevato interesse strategico nazionale in cui siamo impegnati, quali il Sahel e l’Iraq.

Chiaramente, le condizioni di riferimento sono profondamente diverse. In Iraq, ad esempio, sta crescendo in maniera significativa la forza delle Istituzioni e la NATO ha l’occasione di rilanciare le proprie capacità di institution building mettendo immediatamente a sistema le criticità emerse nello scenario afgano.

E sarà con questa visione d’insieme, in particolare, che l’Italia, a valle di una ponderata e approfondita valutazione anche di quanto avvenuto oggi in Afghanistan, assumerà nel prossimo 2022 il Comando della missione NATO in quel Paese.

Nell’indicare le aree di interesse nazionale che potrebbe essere interessate dalle ricadute della crisi afgana, ho prima citato il Sahel, regione che è sempre più centrale negli interessi di sicurezza europei ed italiani e nella quale il nostro impegno è significativamente cresciuto.

Anche qui dovremo portare le lezioni apprese dalla vicenda afgana in termini di modelli di intervento ed approccio a 360° rispetto alle problematiche di quei paesi.

È evidente che il nostro paese, così come anche l’Alleanza Atlantica, deve trarre numerosi insegnamenti dall’esperienza afgana per meglio identificare quali sono i suoi punti di forza, ma anche le sue debolezze, quale è appunto la difficoltà a supportare un processo multinazionale di nation building come quello che pretendeva lo scenario operativo afgano.

L’epilogo afgano ha rilanciato la discussione in merito al ruolo della NATO e dell’Unione europea nella scenario globale.

La NATO è stata e resta l’organizzazione di riferimento per la nostra sicurezza, che garantisce protezione e deterrenza rispetto all’evoluzione del quadro geostrategico mondiale. E che prima di essere alleanza militare è innanzitutto alleanza di valori.

Le democrazie liberali ed il loro patrimonio di valori e diritti sono un modello da difendere che, pur a valle dell’indispensabile processo di riflessione ed analisi sugli esiti dell’esperienza afgana, dovrà continuare ad essere l’archetipo di riferimento del nostro peculiare apporto allo scenario di cooperazione, e insieme di competizione, del nuovo contesto globale.

Il processo di revisione strategica NATO 2030 attualmente in corso dovrà tenere in assoluta considerazione quanto avvenuto dal 2001 ad oggi, nello sviluppare il nuovo Concetto Strategico di una NATO bilanciata ma soprattutto l’idea di Alleanza del futuro e delle sue relazioni con le altre grandi organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Unione Europea.

Unione chiamata ancora di più a definire coraggiosamente la propria autonomia strategica, in complementarietà con la NATO, ma valorizzando al massimo le peculiarità e gli strumenti che le sono propri, essendo l’organizzazione che, più di tutte, ha le capacità di intervenire con efficacia nella realizzazione di azioni proiettate allo sviluppo economico, culturale e sociale dei paesi in cui siamo chiamati ad operare.

Il tema della Difesa Comune, oggetto delle recentissime autorevoli sollecitazioni del Presidente della Repubblica, è tornato centrale nella discussione politica europea, anche grazie all’azione propulsiva del nostro Paese. Iniziative concrete sono state avviate per promuovere una più forte integrazione nel settore, attraverso l’irrobustimento delle capacità, lo sviluppo di una più solida base industriale e l’adattamento dell’architettura istituzionale della UE. Ma non basta: è necessario un salto di qualità, innanzitutto politico.

Credo sia infatti ormai chiaro a tutti, e la crisi afgana ce lo dimostra plasticamente, che siamo chiamati ad assumerci responsabilità sempre maggiori, nel quadro di quella che, già oggi, si chiama non a caso Politica di Sicurezza e Difesa Comune e che attraverso la definizione della Bussola Strategica dovrà trovare finalmente una sua direzione, insieme concreta e coraggiosa.

Per la quale la Difesa europea non vada perciò vista esclusivamente come la risposta ad un’esigenza operativa, quanto piuttosto come un tassello fondamentale e necessario alla costruzione di un’Europa più pienamente politica, indispensabile per poter competere ed agire sulla scena mondiale.

Si tratta quindi di promuovere una maggiore assunzione di responsabilità, da parte dell’Unione, nel campo della difesa e sicurezza. Non in contrapposizione ma anzi in piena sinergia con la NATO.

Come ho in più occasioni sostenuto, la convinta promozione dello sviluppo e dell’acquisizione di capacità militari europee deve essere infatti assolutamente interpretata quale naturale e coerente azione di rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica, a conferma dell’indissolubilità del solido rapporto transatlantico, e con l’obiettivo di consentire all’Europa di contribuire in maniera sostanziale ed efficace alla sicurezza e alla stabilità globale.

Per fare ciò è necessario un orizzonte politico e una visione comune: analisi delle minacce, definizione di una agenda politica condivisa, costruzione di capacità militari comuni e soprattutto volontà di utilizzarle come Unione. Durante la ministeriale UE di Lubiana della scorsa settimana abbiamo affrontato proprio il tema del ruolo che l’Unione vuole giocare nel contesto globale partendo dalla lezione afgana che deve essere di stimolo per rafforzarne il coraggio e il livello di ambizione.

E’ evidente che per entrambe le organizzazioni una delle sfide riguarderà anche e soprattutto i processi decisionali. La nuova competizione globale richiede certamente rapidità ed efficienza. Dovremo essere capaci, tutti noi, di rispondere a questa esigenza continuando a tutelare i principi e le forme delle democrazie liberali. Una sfida certamente difficile ma credo ineludibile dentro i processi di revisione strategica delle organizzazioni internazionali di riferimento.

Presidente, Onorevoli Colleghi, l’operato dei nostri militari, silenzioso e instancabile, merita il plauso e la gratitudine da parte della Nazione, per l’impegno al servizio dei valori della libertà e della democrazia in diverse regioni del pianeta, agendo con riconosciute professionalità e sacrificio.

L’evacuazione appena conclusasi, il quotidiano impegno in Patria e all’estero, il supporto nella lotta alla pandemia sono ammirabili esempi di uno straordinario patrimonio umano, di competenze e di conoscenze, sostenuto da irrinunciabili capacità tecnologiche che dobbiamo preservare e sviluppare.

L’esperienza afgana ci chiama alla responsabilità di plasmare una nuova architettura di difesa e sicurezza incentrata sull’evoluzione e la fattiva cooperazione tra una NATO più moderna ed un’Unione Europea più forte, che consideri in tutta la loro portata le sfide emergenti ed il ruolo degli attori globali.

L’Italia, anche attraverso un dibattito che sia all’altezza di questa sfida, deve continuare, responsabilmente, a fare la propria parte. E lo farà.

Vi ringrazio per l’attenzione”.

 

 

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