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Medio Oriente: gli scontri sui territori contesi tra Israele e Palestina. Conflitti sporadici o provocati visto che siamo alle porte delle prossime elezioni

Di Christine Aura*

Beirut. Le violenze scatenatesi, alcuni giorni, fa tra Israele e Hamas sono tra le più intense da vari anni.

Un momento degli scontri alla Porta di Damasco, a Gerusalemme nei giorni scorsi

L’escalation degli ultimi scontri è stata innescata da vecchie dispute che la Corte Suprema israeliana avrebbe dovuto risolvere lunedì 10 maggio ma che fu rinviata a causa degli scontri scoppiati.

Una disputa che riguarda il quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est che ha una storia molto controversa dal 1967 anno in cui Israele occupò la Cisgiordania.

Facciamo due passi indietro. Molti quartieri di Gerusalemme Est furono abbandonati dagli ebrei nel lontano 1948 in seguito alle violenze scatenatesi dopo la dichiarazione della nascita dello Stato d’Israele.

Da allora, questi quartieri passarono nelle mani della monarchia giordana la quale, con l’appoggio dell’ONU all’epoca, ebbe il controllo fino al 1956 allorquando, dal 1967 furono sotto il controllo degli Israeliani.

Durante tutti questi anni, la Comunità Internazionale cercò di assegnare le case abbandonate ai cittadini palestinesi che, con il tempo, le hanno abitate, abusivamente o legittimamente, a seconda da come la si voglia vedere.

Fu con la crescente volontà di tornare nella terra di Israele, che molti ebrei della diaspora cercarono di tornare verso quelle terre abbandonate dal 1948, agevolati anche dallo Stato ebraico stesso secondo il conosciuto “diritto di ritorno”.

LA CONTESA 

La contesa, quindi, risiede da una parte, nei cittadini palestinesi che hanno popolato i quartieri abbandonati dal 1948 e che oggi reclamano di avere il diritto di continuare ad abitarci e dall’altra parte, gli Israeliani che reclamano i territori per loro proprietà d’Israele, da riprendere sotto lo spirito nazionalista.

Ben Gurion legge la dichiarazione di nascita dello Stato di Israele

Lo Stato ebraico, tra l’altro, continua a rigettare la pressione della Comunità Internazionale di assegnare le case abbandonate ai Palestinesi.

Secondo Israele, questa interferenza manifesta esclusivamente l’esigenza di tamponare un problema che continua a causare gravissimi scontri senza una chiara definizione dell’entità territoriale e, come sempre, porta sofferenze alle fasce sociali più povere e meno protette.

Questo tipo di territori contesi che provocano continui scontri sanguinosi tra gli Israeliani e i Palestinesi sono anche presenti in Libano: le Fattorie di Shebaa’ sono l’esempio più clamoroso.

La mappa delle Fattorie di Shebaa’

In effetti, quest’area agricola sulle pendici occidentali del Monte Hermon, punto d’incontro tra i territori del Libano, Israele e Siria, fu annessa ad Israele nel 1967 quando lo Stato ebraico conquistò le alture del Golan appartenenti alla Siria all’epoca.

Quando le truppe israeliane si ritirarono dal territorio libanese nel 25 maggio 2000, le Fattorie di Shebaa’ furono motivi di gravissimi scontri tra Siriani, Libanesi e Israeliani e continuano ad essere motivi di scontri ancora oggi, oltre ad essere zone di produzione di stupefacenti e passaggi di armi.

Da una parte, Israele dichiara che le Fattorie di Shebaa’ facevano parte delle alture del Golan e, quindi, le appartengono finché non si risolve il problema politico con la Siria per restituirgliele, dall’altra parte però, sia la Siria che Hezbollah-Libano dichiarano che le stesse rientrano nel territorio libanese e che non hanno mai fatto parte delle alture del Golan.

Nel 2000, ci sono volute ben oltre 80 mappe per decidere a quale Nazione appartenessero le Fattorie di Shebaa’: su una mappa risultavano all’interno del territorio libanese, su tutte le altre erano all’interno del territorio siriano. Si è chiuso un occhio e si è andato avanti, volutamente o non.

Oggi giorno, Hezbollah in Libano considera l’essenza stessa della sua esistenza al fatto che finché Israele non retrocederà da tutti i territori del Libano (incluse le Shebaa Farms) rimarrà a guardia dell’entità nazionale libanese.

C’è anche da dire che il governo libanese non si è mai sbilanciato né all’epoca né adesso e non lo farà nemmeno nel futuro vicino sulla questione delle Fattorie di Shebaa’.

La mancanza di approfondimento della questione di Shebaa’ Farms nel 2000 è stata voluta da tutti per continuare a creare conflitti per vantaggi politici? Esattamente come i quartieri di Gerusalemme Est?

La Risoluzione 425 dell’ONU dichiara che le truppe israeliane si sono ritirate da tutto il territorio libanese nel 2000, conformemente alle mappe del territorio consegnate dalla Turchia (visto che quella regione era sotto mandato ottomano per quattro secoli), quindi, per l’ONU, se Israele detiene le Fattorie di Shebaa’ vuol dire che sono all’interno delle alture del Golan che lo Stato ebraico ha annesso nel 1967, ma lo stesso territorio è considerato occupato dalle truppe israeliane perché, secondo la Siria e Hezbollah-Libano esse non fanno parte delle alture del Golan ma bensì del territorio libanese.

Milizie di Hezbollah

E, come detto prima, il governo libanese non ha chiaramente preso posizione, fatto che incuriosisce notevolmente.

Insomma, risoluzioni ONU ambigue, interpretazioni altrettanto contrastanti e decisioni della Comunità Internazionale prese decenni fa e che sono a tutt’oggi contestate dai Palestinesi, Libanesi, Siriani e Israeliani perché poco chiare, vecchie, mai riviste o aggiornate, mai seriamente studiate tra i vari responsabili dell’epoca e che continuano a essere un motivo per scatenare conflitti sanguinosi che durano da oltre 70 anni.

LE RISOLUZIONI DELLE NAZIONI UNITE

L’ambiguità delle Risoluzioni circa i territori contesi tra queste quattro Nazioni sono anche un’opportunità per chi vuole scatenare delle tensioni regionali e guerre insensate, tutto per ottenere il proprio ritorno politico.

In effetti, la maggior parte dei governi del Medio Oriente sono dei governi poco stabili che hanno perso il consenso della loro popolazione oggi.

Se qualche gruppo armato o partito politico isolato della regione vuole ottenere una fetta sulla scacchiera politica oggi, adesso è il momento ideale per farlo.

In realtà, l’escalation di dieci giorni fa tra Israeliani e Palestinesi fa pensare che il momento scelto per scatenare gli scontri sanguinosi va ben oltre i semplici contrasti tra inquilini abusivi o legittimi, sempre a seconda da quale parte la si voglia vedere.

Il ‘ben oltre’ sono le prossime elezioni in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente, elezioni che potrebbero rovesciare qualche regime, rafforzare un altro oppure tenere tutti i politici radicati da decenni laddove sono, senza tanta voglia di cambiare oppure cercare di cambiare, ma poco alla volta.

Una nazione alla volta: le ultime elezioni presidenziali in Palestina si sono svolte nel 2005 e quelle parlamentari un anno dopo.

Quell’anno, gli scontri erano una vera guerra civile. Da allora, si cerca di avviare nuove elezioni senza ottenere risultati perché vengono sempre rimandate e chi governa i palestinesi è sempre il Presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen (conosciuto anche come Mahmud Abbas) che è accusato di collaborazionismo e sudditanza verso Israele.

Presidente Mahmud Abbas, Presidente dell’Autorità nazionale palestinese

Con sede a Ramallah, Abu Mazen ha promesso di avviare nuove elezioni a gennaio ma è ritornato sui suoi passi temendo di perdere il potere.

Hamas, che si preparava per andare al voto, è rimasto in una posizione molto scomoda e passiva e così, attraverso lo sfratto delle case abbandonate di Sheikh Jarrah ha cercato di attirare l’attenzione su di esso.

Lo sfratto delle case di quel quartiere era un’occasione imperdibile per passare alla lotta armata, per far sentire il suo potere, più politico che armato. Pare che il suo arsenale sia già finito.

In Israele invece, è Netanyahu che teme di perdere il potere e che cerca a tutti i costi di mantenere lo status quo.

il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu

Negli ultimi due anni si sono tenute ben quattro elezioni parlamentari che non hanno creato nessuna maggioranza.

Netanyahu, in carica da 12 anni, è accusato di corruzione, di essere ormai una minoranza e molto legato alla destra nazionalista religiosa.

Poco prima degli scontri, Israele stava andando verso nuove elezioni parlamentari all’inizio di giugno; queste elezioni sono state rimandate per l’autunno, visto le circostanze.

E lo status quo continua e Netanyahu sta sempre al potere prendendo, dopo gli ultimi episodi, maggior consenso dalla popolazione di Israele.

In Libano? Anche nella Terra dei Cedri il governo è messo in cattiva luce da anni.

Lo status quo, la corruzione della classe politica, la mancanza di riforme, la gravissima crisi economica e la svalutazione della lira hanno messo all’angolo un governo logorante, rappresentato all’estero come un governo burattino, in mano ai Paesi confinanti, un Paese pronto ad implodere da un momento all’altro, ma che stranamente regge ancora.

Ogni gruppo armato, politico e religioso cerca di giocare le sue carte in vista delle prossime elezioni, non solo in Libano, Palestina o Israele, ma anche in Siria e in Iraq.

E sia Hezbollah che Hamas stanno cercando a tutti i costi di avere la loro fetta sulla scacchiera anche se Hezbollah è molto più organizzato e ben radicato nella società libanese per via di opere sociali che Hamas ha mancato di fare per ottenere il consenso interno.

Hezbollah sta cercando di rimanere neutro circa gli eventi di Gaza, non lo fa perché ha firmato un trattato di Pace con Israele, ma sta cercando di tenere le redini al fine di giocarsi le sue carte a favore dell’Iran e della Siria, ma anche per tenere il potere in Libano senza essere disturbato e un governo logorante, vecchio, accusato di frode, di corruzione e di negligenza gli fa comodo.

Il capo del partito Hezbollah, Nasrallah, continua a ribadire che è presente e vicino alla popolazione di Gaza, ma che non ha nessuna intenzione di aprire un conflitto aperto al confine con Israele, un po’ per non ripetere la guerra dei 33 giorni del 2006, ma soprattutto, per non perdere il consenso interno visto che i Libanesi hanno toccato il fondo con la crisi economica e la svalutazione della lira e non sono psicologicamente orientati a sostenere ulteriori tensioni.

Hassan Nasrallah leader del movimento sciita Hezbollah

Un’altra guerra con Israele significherebbe perdere tutto il potere e addirittura la Comunità Internazionale potrebbe davvero chiedere al partito di smantellare le sue sedi e uscire dal Libano come già successo all’OLP nel 1982.

Entrare in un nuovo conflitto con Israele implicherebbe l’isolamento e la perdita di tutto ciò che ha costruito finora. Inoltre, Hezbollah sta anche giocando il ruolo della polizia: ogni volta che parte un missile da un campo palestinese del Sud del Libano, Hezbollah si affretta a dichiarare che non è stato lanciato dai suoi uomini, che dai territori che controlla non parte nessun razzo, nessun missile.

È un segno di debolezza? Assolutamente no, Hezbollah potrebbe giocarsi la carta Hamas-Israele per vari motivi:

Con gli anni, il suo arsenale è diventato molto più potente e potrebbe aiutare Hamas a colpire altre città israeliane, ma non lo fa…non ancora.

Per di più, i rapporti tra Hamas e il regime siriano si sono deteriorati anni fa perché il braccio politico di Hamas aveva sostenuto i rivoluzionari siriani e così, il leader di Hamas in Siria, Khaled Meshaal, ha dovuto chiudere la base di Hamas in Siria nel 2012.

Hezbollah invece, ha dato supporto militare alle forze di Assad sin dal 2013.

La situazione sul terreno cambiò e i rapporti tra Hezbollah e Hamas si sono inaspriti quando i gruppi oppositori al regime di Assad persero le battaglie quasi ovunque.

Da settembre 2020, i rapporti si sono riallacciati quando il nuovo capo di Hamas, Ismail Haniyeh, fece visita al quartiere generale di Hezbollah a Beirut, il partito ha anche offerto rifugio a Saleh al-Arouri, un altro leader di Hamas nascosto in una delle roccaforti di Hezbollah al Sud del Libano.

Attualmente, pare che Hezbollah stia facendo da mediatore tra Hamas e il regime siriano al fine di rafforzare l’asse Iran-Siria-Libano-Palestina.

Così facendo, Hamas potrebbe emergere come una nuova forza politica per i Palestinesi, nuova e forte rispetto all’attuale Presidente Abu Mazen, che pare sempre più debole e isolato.

Infine, Hezbollah, qualora universalmente visto come forza non esclusivamente armata )e terroristica per molti Paesi) ma dando luce all’ala che siede nel Parlamento libanese, potrebbe giocare un ruolo importante nei negoziati tra Iran-USA circa gli Accordi nucleari dai quali gli USA erano usciti nel 2015.

Ciò lo potrebbe fare promettendo che Hamas non provocherà più scontri contro Israele se gli Stati Uniti rientrino negli Accordi nucleari.

Detto ciò, attualmente Hezbollah sembra il partito più avvantaggiato nell’arena mediorientale: la Siria è in piena elezione e Assad non pare voler cedere il posto a nessuno, anche perché, un oppositore non c’è.

Il voto è previsto per il 26 maggio. Hezbollah non ha nulla da temere per il suo alleato siriano.

A tal proposito, due giorni fa, è stata data la possibilità ai rifugiati siriani in Libano di votare all’ambasciata siriana.

Circa 50 mila rifugiati si sono avviati con slogan e poster di Bashar al-Assad attaccati sui pullman, provocando disdegno e disapprovazione tra i cittadini libanesi che in vari punti del Paese hanno attaccato i pullman dei rifugiati che andavano a votare.

Al momento della pubblicazione dell’articolo, i rifugiati siriani che hanno votato per Assad sono rientrati nei campi rifugiati solo per trovarsi di fronte a tensioni e ostilità da parte di rifugiati siriani che sono contro il regime di Assad.

Si stima che circa un milione e mezzo di rifugiati siriani sono ancora presenti in Libano.

In Libano, con le prossime elezioni previste per dicembre 2021, in realtà non presenta un candidato nuovo e potenzialmente risolutore della situazione in stallo da troppo tempo essendo, tra l’altro,  dieci mesi che non si riesce a formare un nuovo governo.

In Iraq, le prossime elezioni sono attese nel mese di ottobre 2021. Anche in Iraq, Hezbollah pare aver ottenuto posti chiave all’interno del governo.

Tenere questi governi gelati senza potere gli permette di essere l’unica alternativa per la sopravvivenza delle popolazioni affamate.

Nell’ultima visita del ministro degli Esteri francese Le Drian in Libano, il rappresentante della Francia ha espresso la volontà di agire in maniera molto più decisiva riguardo alla politica stagnante e logorante in Libano, insistendo sulle riforme e sulla formazione di un nuovo governo.

La richiesta è stata voluta anche da altri Paesi europei e dal Vaticano stesso ma ogni richiesta è caduta nel vuoto e nell’indifferenza totale.

Sembra che lo status quo del governo libanese, volutamente e fortemente provocato da Hezbollah si snoderà solo quando i conflitti che soffiano in tutto il Medioriente, gireranno a suo favore, non solo politicamente ma anche militarmente.

Per ultimo, ad agosto 2021, il mandato ONU in libano scadrà e come tutti gli anni, gli scontri e le scintille non mancheranno.

La Francia ha già accennato il suo desiderio di trasformare UNIFIL è una Military Force.

Verrà fatto? La richiesta della Francia verrà ascoltata dalla Comunità Internazionale oppure si andrà avanti con i vecchi governi senza più poteri perché non si è voglia di ribaltare i pioli? Oltre a Hezbollah, a chi fa comodo tenere il Medio Oriente una polveriera continua?

* Docente di Lingua Araba all’Università di Urbino e Bologna 

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