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Trentennale della Strage di Capaci: attenzione ai tentativi perniciosi ed incalzanti di demolizione del sistema penitenziario

Roma. Trent’anni fa, sull’autostrada Trapani – Palermo, all’altezza di Capaci, venivano barbaramente uccisi in un attentato il Magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Oggi, oltre ai doverosi tributi, si ricorda il sacrificio di coloro che hanno combattuto la Mafia, non solo a
parole ma nei fatti, ispirando una normativa di contrasto alle mafie, introducendo nuove modalità di
indagine e giungendo alla creazione della Direzione Investigativa Antimafia.

Tuttavia, secondo l’associazione Vittime del Dovere “lo scorrere del tempo è stato inclemente, non tanto con il ricordo di coloro che si sono sacrificati per la nazione e per la collettività, quanto con la percezione della pericolosità, persistente sebbene silenziosa, della criminalità organizzata”.

“Da anni sosteniamo che è in corso un’opera di depotenziamento normativo, volto a smontare pezzo dopo pezzo la costruzione di un sistema di controllo e contenimento delle mafie nato a seguito della Strage di Capaci. Ne abbiamo la riprova ogni singolo giorno”, continuano i responsabili dell’associazione.

Scadono oggi i termini per proporre gli emendamenti al Disegno di legge in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia e al disegno di legge che prevede concessione di benefici a condannati per determinati delitti che, dopo un travagliato iter alla Camera dei Deputati, giunge al Senato della Repubblica.

“Non ci sarebbe niente da dire”, sottolineano dall’associazione, “se non fosse che l’oggetto dei testi normativi riguarda l’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, che si sostanzia in una norma che prevedeva il divieto di accesso a benefici penitenziari per i mafiosi che non collaboravano con la Giustizia, rescindendo così i legami criminali. Purtroppo il sistema “cede” il 15 aprile 2021 quando la Corte Costituzionale, accogliendo i richiami della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, rinviando al Parlamento la necessità di un riforma “costituzionalmente orientata” della legge dando tempo fino al 10 maggio 2022, prorogato poi al prossimo 8 novembre 2022”.

Associazione Vittime del Dovere

Le attuali proposte al vaglio del Parlamento individuano le condizioni di accesso ai benefici penitenziari
e, per quanto riguarda i reati associativi, la riforma propone di superare la presunzione assoluta
preesistente, se ricorrono le seguenti condizioni, cioè la dimostrazione di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e l’allegazione di elementi specifici che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso nonchè il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

“Già nel 2019, nel mese di giugno dopo la sentenza Viola della CEDU e successivamente ad ottobre, in seguito alla sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale”, l’associazione aveva sollecitato “un esame più approfondito del complesso normativo presente nell’ordinamento penitenziario che di fatto consente di erigere un muro di opposizione alla mafia e al terrorismo a tutela della collettività”.

L’associazione Vittime del Dovere mette in evidenza che “per tutto il 2020 abbiamo lanciato appelli per sottolineare il timore che il vuoto e l’incompletezza delle disposizioni di legge potessero consentire spazi di manovra alla criminalità. Inoltre negli ultimi due anni di pandemia abbiamo assistito alle scarcerazioni dei boss della criminalità organizzata giustificate dall’emergenza sanitaria”.

L’associazione Vittime del Dovere dice di essere intervenuta “tempestivamente presentando emendamenti e chiedendo, anche attraverso lettere al Governo e comunicati stampa rivolti all’opinione pubblica, di apportare modifiche normative che evitassero la continua proroga dei termini per la detenzione domiciliare, i permessi premio e le licenze premio, poiché irragionevoli e ingiustificate.
Nonostante le nostre istanze e il timore più volte palesato, alcuni esponenti di spicco della
criminalità organizzata hanno usufruito indisturbati di tali soluzioni”.

 

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