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Festa del 25 aprile, non Gloria sed Memoria

Di Alessandro Gentili (*)

Roma. Ancora un altro 25 aprile, il 73° per la precisione, è trascorso lasciandoci ancora una volta perplessi sulla effettiva utilità di una ricorrenza nei fatti divisiva che vorrebbe essere una festa ma che in realtà è una ennesima, per molti noiosa, scialba occasione per rinnovellare magari solo vicende sgradevoli, degne di essere superate, se proprio non è possibile dimenticarle!

Apprezzabili, autorevoli ed importanti le parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella e la solenne cerimonia all’Altare della Patria.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella

 

Sgradevoli gli scontri, gli insulti, le recriminazioni che, come tutti gli anni, sono stati registrati a Roma, a Milano e un po’ ovunque. Questa festa nazionale voluta da Alcide De Gasperi, capo del Governo, e promulgata da Umberto di Savoia, Luogotenente Generale del Regno, voleva essere un momento di gioia per la fine di un incubo, di una pagina orrenda quale fu la II Guerra Mondiale, di cui l’Italia fu colpevole corresponsabile, con la scellerata alleanza con il Terzo Reich.

Dunque, non un evento in cui festeggiare vittorie o chissà cosa altro, ma un momento di sollievo; un momento in cui si può pensare che la vita ricomincia. Invece, no!

Festa della Liberazione solo dal giogo nazi-fascista, festa solo per chi aveva combattuto nella così detta Resistenza, condanna ed esecrazione per gli italiani che invece per scelta o per causa di forza maggiore avevano combattuto dalla parte sbagliata, in nome di una fedeltà ad un giuramento prestato ad un capo, ad un’alleanza.

E il valore dell’Onore non è sentito da tutti nello stesso modo! Specialmente oggi! E da allora questa storia sgradevole si perpetua e si rinnova ogni anno, talché vien da pensare che questa ricorrenza prima la si cancella meglio sarà.

Quindi ieri, come negli anni scorsi, gruppi eterogenei, autoproclamatisi antifascisti – composti da contestatori professionalizzati quali filo-palestinesi, no global, appartenenti ai centri sociali, antagonisti, anticapitalismo – quasi sempre dietro le bandiere dell’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) hanno invitato il sindaco di Roma, Virginia Raggi, a lasciare la cerimonia (per le buche e l’immondizia, non per motivi legati alla memoria del giorno), hanno costretto la comunità ebraica romana a commemorare per suo conto, a Milano hanno insultato gli ex deportati e a Trieste hanno zittito il Rabbino.

A Milano gruppi filo palestinesi contestano i combattenti della Brigata Ebraica

Per non parlare degli insegnanti che a Milano hanno approfittato della festa per la Liberazione per aggredire verbalmente anche Susanna Camusso – con la sua CGIL da sempre tanto vicina ai partigiani dell’ANPI – per non averli difesi adeguatamente nelle loro vicessitudini di impiego.

Ebbene, tutto questo, mentre ben altre sarebbero le cose da ricordare. Ricordare per mantenere vivo il culto dell’ideale di Patria e per mantenere ed alimentare – specie nelle nuove generazioni – il patrimonio spirituale rappresentato dal valore e dal sacrificio di quelle centinaia di migliaia di combattenti inquadrati nei reparti regolari delle Forze Armate Italiane che, con l’ausilio dei partigiani – grandissima parte dei quali facevano comunque parte delle Forze Armate, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza – si affiancarono alle truppe delle Forze Alleate, offrendo un contributo importante alla liberazione del Paese.

Un grande tributo di sangue, di sofferenze, con torture ed eccidi efferati, atti di valore esemplari che crearono le premesse per un atteggiamento meno duro degli Alleati nei confronti dell’Italia al termine delle operazioni belliche. Italia che, non si deve dimenticare, fu un Paese nemico e sconfitto, con l’aggravante di avere pure tradito l’alleato germanico. Fatti di cui la storia non si è dimenticata e che neppure gli italiani dovrebbero dimenticare.

NON GLORIA SED MEMORIA! Questo è lo scopo fondamentale della ricorrenza del 25 aprile. Ricorrenza che coincide con la liberazione di Milano e che vuole ricordare gli eventi di un terribile arco di tempo che va dall’ 8 settembre del 1943 al 2 maggio del 1945, quando anche in Italia iniziò il vergognoso e imperdonabile rastrellamento e la deportazione degli ebrei ma anche di circa 600 mila soldati, pure deportati nei campi di lavoro in Polonia e Germania.

Un arco di tempo in cui molti fra coloro che operarono nella Resistenza perseguirono anche finalità diverse dalla liberazione del nostro territorio dalle unità tedesche. Infatti, se molti combattevano per la libertà della propria Patria, molti altri ricercavano invece l’attuazione della rivoluzione comunista, giungendo a compiere massacri ferocissimi ed a operare pure con i partigiani jugoslavi di Tito: ricordo per tutti il martirio della Brigata Osoppo e i tanti sventurati italiani trucidati nelle foibe.

La foiba di Basovizza

Spiace constatare che dopo 73 anni questa festa ancora divide e cerca di affermare verità di parte che andrebbero invece seppellite per sempre. Competerebbe invece a coloro che vissero quelle vicende, e che ancora sono tra noi, ed alle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, che le loro tradizioni perpetuano ed alimentano, dare voce alla verità. Ma sembrerebbe troppo difficile .

Questo compito, in particolare modo, competerebbe a due associazioni, prima che a tutte le altre: in primis, all’Associazione Nazionale Combattenti dei Reparti Regolari delle Forze Armate nella Guerra di Liberazione (ANCFARGL), sicuramente apolitica e apartitica, e quindi, ma in secondo piano – perché assolutamente secondario fu il loro ruolo in termine di uomini impegnati, azioni effettuate e caduti nonché per risultati conseguiti – all’ANPI.

Però, sta di fatto che quest’ultima ottiene dal Ministero della Difesa sovvenzioni annuali più che doppie rispetto all’ANCFARGL, con ovvie ripercussioni sui risultati conseguiti e ritorno di immagine per le rispettive attività istituzionali.

(*) Generale di Brigata CC aus.

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