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Filippine, Rodrigo Duterte confermato alla presidenza del Paese. L’impegno è quello di sconfiggere la corruzione e il traffico di droga

Di Pierpaolo Piras

Manila. Le elezioni nazionali di medio termine, tenutesi lunedì scorso nelle Filippine, hanno confermato il successo politico dell’attuale partito al governo del Presidente, Rodrigo Duterte.

Il Presidente filippino Rodrigo Duterte

In questa tornata elettorale, sono state poste in gioco numerose amministrazioni comunali e provinciali, ma, i seggi che potrebbero condizionare il futuro del Paese, sono stati 12, equivalenti a metà dei 24 del Senato.

Nove di questi sono andati ai sostenitori di Duterte, che, in aggiunta agli 8 che già lo sostengono, hanno raggiunto la maggioranza assoluta con largo margine.

Sono stati 62 milioni gli elettori su una popolazione di 107 milioni.

Da queste consultazioni il ruolo e la politica di Duterte escono decisivamente potenziate sia a livello legislativo che nelle amministrazioni locali.

Duterte, 74 anni, è il Presidente delle Filippine dal 2016. Di umili origini, si è sempre professato “di sinistra” ed è molto popolare negli strati più poveri della società.

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E’ salito alla massima carica presidenziale accompagnato da una campagna elettorale basata sulla lotta al dilagare della droga, ai cartelli dei trafficanti, alla corruzione arrivata ad attrarre corrosivamente le istituzioni più importanti, ponendo in pericolo la sicurezza dello Stato.

Nei tre anni della sua presidenza, la sua campagna contro gli stupefacenti è stata spietata. Sono stati usati tutti i mezzi leciti e, secondo molti, anche quelli illeciti: oltre 20 mila sarebbero state le uccisioni extragiudiziali.

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Alla Camera dei Rappresentanti, secondo organo costituzionale legislativo, è ancora attiva una proposta di legge, fermata poi dal Senato, che prevedeva la pena di morte per chiunque avesse detenuto mezzo chilo o più di marijuana, dieci grammi di cocaina o altrettanto di sostanze simili all’eroina.

Ora, con l’acquisizione della maggioranza alla Camera Alta, non dovrebbero esserci ulteriori ostacoli.

L’attuale programma elettorale espresso da Duterte ed i suoi alleati prevede numerosi progetti come l’inasprimento delle leggi contro la corruzione, una riforma del sistema fiscale, più favorevole ai meno abbienti, la decentralizzazione degli uffici statali (che tenga conto della distribuzione popolare nelle migliaia di isole del Paese), e, soprattutto la riforma costituzionale nella parte che riguarda la eleggibilità del capo dello Stato, che attualmente è limitata ad un solo mandato di sei anni.

Su quest’ultimo punto, Duterte si esprime ambiguamente, forse per le frequenti insinuazioni sulle sue precarie condizioni di salute fisica, che ne impedirebbero la rielezione nel 2022.

Alcuni ritengono, invece, che sia tratti di una pretattica che prepari la migliore prospettiva politica per sua figlia, Sara, eletta lunedì scorso come sindaco di Davao, la stessa città governata dal padre prima di aspirare alla presidenza.

Nonostante questo clamoroso esempio di nepotismo, si direbbe di tipo dinastico, il presidente Duterte (e famiglia) continua a ricevere grande consenso dalla gran parte della popolazione, forse per le sue promesse di cambiamento e l’implacabilità della sua azione contro la criminalità e l’illegalità legata al mondo della droga.

La politica estera delle Filippine non dovrebbe cambiare. Dopo lo stretto legame con gli Stati Uniti, seguito alla II Guerra Mondiale, Duterte ha aperto le proprie relazioni politiche a grandi potenze come la Russia e, economicamente, anche alla Cina, specie in relazione agli enormi interessi legati alla “Via della Seta”, geograficamente adiacenti per mare.

 

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