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Libano: 39 anni fa l’omicidio di Béchir Gemayel che aprì la strada ai massacri di Sabra e Chatila. Un pezzo scomodo e dimenticato della Storia moderna del Paese

Di Christine Aura*

Beirut. Da un’analisi approfondita degli eventi drammatici che portarono prima, all’uccisione del neo Presidente del Libano, Béchir Gemayel e poi, ai massacri di Sabra e Chatila, oggi, possiamo dedurre che le due tragedie erano così interconnesse da non poterle più studiare come eventi isolati perché se non fosse accaduta la prima, non sarebbe avvenuta la seconda.

Il 14 settembre di ogni anno viene commemorata l’uccisione di Gemayel, eletto il 22 agosto del 1982 e barbaramente ucciso insieme a una trentina dei suoi uomini tre settimane dopo,

Nella notte del 16 settembre, mentre i Beirutini facevano ancora la conta dei morti e feriti dell’esplosione avvenuta nel cuore del quartiere Ashrafieh della capitale libanese  e a pochi chilometri del luogo dell’attentato alla vita di Gemayel, si stava compiendo, nel silenzio totale della stampa nazionale e internazionale, una delle più grandi tragedie della Storia moderna del Libano: i massacri di Sabra e Chatila.

Massacri che proseguirono per ben due giorni all’interno dei due campi profughi palestinesi collocati nella vicinanza dell’aeroporto di Beirut.

Massacri compiuti soprattutto davanti agli occhi delle Forze israeliane che furono accusate di aver aiutato e addirittura, partecipato ai massacri dei profughi palestinesi insieme ai loro alleati libanesi all’epoca: le Forze libanesi.

Attribuire all’assassinio di Béchir Gemayel l’effetto domino che portò ai massacri di Sabra e Chatila non è più azzardato oggi se si analizzano, da vicino, gli eventi che hanno portato, prima alla sua uccisione e due giorni dopo, ai massacri.

Innanzitutto, ripercorriamo velocemente gli eventi che portarono un giovane combattente 35 enne alla Presidenza del piccolo Paese che rappresenta un ago della bilancia nella geostrategia mediorientale:

Béchir Gemayel in tuta da combattimento tipica delle Forze libanesi

Nato il 10 novembre del 1947, Béchir si laurea in Scienze Politiche e si interessa sin da subito al Partito Kataeb fondato nel 1936 dal padre Pierre.

Nel 1969, a seguito di contrasti anche di una certa gravità con l’Esercito libanese e con l’OLP di Arafat, il 22 enne Béchir fonda il gruppo paramilitare del partito politico Kataeb: le Forze libanesi.

Nel 1971, il 24 enne, Béchir viene rapito e portato in un campo palestinese.

Il suo rapimento durerà otto ore, Verrà liberato solo dopo l’intervento del capo dei Drusi all’epoca: Kamal Joumblatt, padre dell’attuale capo dei Drusi, Walid Joumblatt.

Béchir non dimenticò il rapimento lampo che subì da parte dei palestinesi così come non dimenticò la vergogna di aver chiesto aiuto ai Drusi per liberarlo.

Da quel giorno, Béchir iniziò a considerare la presenza dei dodici campi profughi palestinesi in Libano una minaccia alla Sicurezza della nazione e alimentò una campagna di odio contro di loro.

Presto una grande fetta della popolazione libanese, soprattutto cristiana, seguì Béchir Gemayel nella sua visione personale.

C’è voluto poco tempo per passare da libanesi ospitali a libanesi ostili nei confronti dei profughi palestinesi.

I profughi vennero considerati “ospiti ingrati che si comportano come padroni di casa in Libano’ oppure ‘la causa di tutti i mali del Paese”.

In seguito alla campagna informativa suffragata da inevitabili atti di intolleranza, molti soldati dell’Esercito libanese, spesso passivo di fronte agli eventi che accadevano sul territorio all’epoca, si arruolarono nelle fila delle Forze libanesi così come, molti uomini, assetati di vendetta e guerra si unirono al gruppo paramilitare: uomini come William Hawi, Elie Hobeika e Fadi Frem che modellarono la storia e il corso della guerra del Libano all’epoca.

Il 13 aprile del 1975, nel quartiere di Ain Remmaneh (vicinissimo ai campi di Sabra e Chatila) una piccola folla assiste alla consacrazione di una chiesa, dove è anche atteso il Presidente della Repubblica, Chamoun.

A pochi metri dalla chiesa passa una macchina in cui si trovano quattro combattenti palestinesi che urlano “siamo combattenti dell’OLP”.

La notizia si sparge in un baleno. Si contano quattro morti e sette feriti.

Nel pomeriggio stesso e nello stesso quartiere, un pullman carico di combattenti palestinesi passa di nuovo nella vicinanza della chiesa.

Cellule delle Forze libanesi attaccano il pullman: tutti i ventisette combattenti palestinesi morirono, solo l’autista ferito tornò al campo.

È l’inizio della guerra aperta tra le Forze libanesi e i Palestinesi.

La popolazione si divise in due schieramenti: una maggioranza cristiana maronita con minoranze di altre confessioni si schierarono contro i palestinesi mentre la maggioranza sunnita con altre minoranze cristiane e no, si palesarono a favore dei palestinesi.

La capitale, di conseguenza, venne divisa anche geograficamente dalla famosa Linea Verde.

La famosa linea verde di Beirut

Le tensioni raggiunsero l’apice il 9 settembre dello stesso anno, quando un gruppo di palestinesi uccise 4 membri delle Forze libanesi.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, Béchir schierò i suoi uomini nella capitale e uccise sia Palestinesi che Libanesi di fede musulmana e no, che appoggiavano la causa palestinese.

Il 9 settembre fu battezzato il Sabato Nero perché, per la prima volta, libanesi cristiani e musulmani si scontravano e si uccidevano apertamente tra di loro per motivi che superavano i confini del Paese. In effetti, fino alla nascita dello Stato di Israele, la Terra dei Cedri stava cercando di avere un ruolo sulla scacchiera del Medio Oriente dopo l’uscita dei soldai francesi nel 1946, ma l’arrivo di migliaia di profughi palestinesi in quel fazzoletto di terra nel 1948 finì presto per sbilanciare i fragili equilibri della Nazione.

Il conflitto, di conseguenza, si estese in tutto il Paese, soprattutto intorno ai campi profughi, da Sud a Nord.

Nel 1976, le Forze libanesi bloccano tutti gli ingressi dei campi e attaccano il campo profughi collocato alla Quarantina, quartiere popolare vicino al porto di Beirut, dove circa mille combattenti palestinesi perirono.

Un mese dopo i palestinesi si vendicano per l’accaduto, uccidendo esattamente mille cristiani nel villaggio di Damour.

Il massacro del villaggio cristiano di Damour (foto d’archivio)

Gli eventi peggiorano ancora di più quando venne ucciso l’uomo forte di Béchir, William Hawi in una battaglia.

Béchir prese le redini del gruppo paramilitare e si mise anche contro il proprio padre che aveva appena firmato a favore dell’intervento delle Forze siriane che promettevano di porre fine a una guerra iniziata tra le Forze libanesi e i combattenti palestinesi ma diventata una vera e propria Guerra Civile.

Non solo, le Forze libanesi cominciarono ad avere anche nemici interni che si opponevano alla figura di Béchir Gemayel.

Gli attriti, spesso sanguinosi, tra gli stessi cristiani maroniti aggiunsero vittime su vittime, ma nel 1980, Béchir aveva ancora la supremazia e la simpatia della maggioranza cristiana.

I combattenti palestinesi continuavano le loro operazioni di rappresaglia contro le Forze libanesi e nel 24 febbraio del 1980, Béchir scampò a un attentato organizzato da un gruppo di terroristi palestinesi. In quell’agguato, morì la figlia di due anni, Maya.

Béchir, accecato dall’odio, promise di sradicare tutti i campi palestinesi non appena diventava Presidente della Repubblica.

Béchir insieme alla figlia Maya prima fosse ucciso nell’attentato del febbraio 1980

 

Béchir crede di realizzare il suo sogno di sradicare i campi palestinesi durante l’invasione israeliana del Libano del 1982. In effetti, “l’Operazione Pace in Galilea” iniziò il 6 giugno del 1982, poco prima della candidatura di Béchir alla Presidenza.

Le Forze israeliane guidate da Ariel Sharon, il Ministro della Difesa all’epoca, giunsero il confine libanese al fine di porre fine ai lanci di colpi d’artiglieria e razzi da parte dei gruppi palestinesi accampati nel Sud del Libano.

Con l’invasione del Sud, le truppe israeliane rasero al suolo gli accampamenti dei Palestinesi che appartenevano all’OLP spingendoli a Nord verso la Capitale.

 

Un momento dell’Operazione “Pace in Galilea”

Per di più, Israele considerava il dispiegamento delle Forze siriane sul territorio libanese una minaccia alla sua Sicurezza così come attribuì l’uccisione dell’ambasciatore israeliano a Londra, a terroristi palestinesi nascosti in seguito all’agguato in Libano.

Tutti eventi che permisero ad Ariel Sharon, di spingersi aldilà del fiume Leonte e raggiungere le porte di Beirut in meno di due giorni, senza attendere il via libera del gabinetto israeliano.

Béchir sfruttò la presenza delle Forze israeliane a Beirut per mettere termine alla presenza dei palestinesi.

Credeva che, avendo un nemico comune cioè, i combattenti palestinesi, l’occasione si presentava per allearsi con Israele. Unico candidato alla Presidenza,

Béchir venne eletto il 22 agosto e il primo settembre del 1982, egli si recò a Nahariya per incontrare il Primo Ministro israeliano, Begin, il quale chiese di firmare un trattato di Pace tra il Libano e Israele a condizione che le Forze israeliane rimanessero nel Sud del Paese dei Cedri.

Béchir non firmò subito e chiese di riflettere sulla questione al fine di ottenere il consenso della maggioranza dei libanesi.

* Docente di Lingua Araba all’Università di Urbino e Bologna 

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