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Serbia e Kosovo: l’Italia tenta di recuperare un ruolo di primo piano nei Balcani

Di Fabrizio Scarinci

PRISTINA. L’incontro di due giorni fa tra i rappresentanti di Serbia e Kosovo finalizzato a far cessare la crisi generata dalla decisione di Pristina di imporre anche alla minoranza serba del Paese l’utilizzo di targhe automobilistiche kosovare si è, purtroppo, risolto in un fallimento.

Il Parlamento kosovaro

A tentare una mediazione tra le due parti era stata l’Unione Europea, presentando loro una proposta di accordo mirante, da un lato, a far sì che il governo di Pristina si impegnasse a sospendere l’obbligo per gli abitanti di etnia serba di passare alle targhe kosovare, e, dall’altro, a fare in modo che le autorità serbe accettassero di interrompere l’emissione di nuove targhe e il rinnovo di quelle vecchie ai cittadini delle province settentrionali del Kosovo.

Tuttavia, stando alle parole dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Josep Borrell, sia il Presidente serbo Aleksandar Vucic, sia il primo Ministro kosovaro Albin Kurti avrebbero mostrato una scarsissima volontà di collaborare e di appianare le proprie divergenze, cosa che, di fatto, li renderebbe responsabili di ciò che potrebbe accadere nel corso delle prossime settimane.

L’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Josep Borrell

Tale situazione non sembrerebbe, peraltro, destinata a mutare, dato che, ancora nella giornata di oggi, le due parti hanno continuato ad accusarsi reciprocamente per il fallimento del negoziato.

Ad esempio, solo poche ore fa il vice capo del governo e ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic avrebbe affermato come la Serbia e, in particolare, il suo Presidente Aleksandar Vucic avrebbero agito responsabilmente negli ultimi colloqui con Pristina, e che la loro linea sarebbe stata quella di non allontanarsi dal tavolo dei negoziati anche qualora si fossero trovati di fronte a proposte sgradevoli.

Il Presidente serbo Aleksandar Vucic

Stiamo agendo in questo modo – ha continuato Dacic – perché vogliamo preservare la pace, anche se è solo una pace fragile, e, attraverso i negoziati, stiamo cercando di raggiungere una soluzione sostenibile che garantisca un compromesso tra Belgrado e Pristina e faccia in modo che la gente in Kosovo e Metohija (come la Serbia chiama il Kosovo, Ndr) sappia che non ci saranno problemi nel periodo a venire”.

Ciononostante egli non ha, però, rinunciato ad ammonire la controparte affermando che la pazienza della Comunità internazionale si sarebbe esaurita.

E che l’alternativa al fallimento dei negoziati consisterebbe nell’inizio di un conflitto, aggiungendo inoltre che, per Belgrado, le richieste di Kurti non sarebbero realistiche dato che nessun ufficiale di polizia di etnia albanese sarebbe, a suo parere, in grado di imporre qualcosa nelle aree a maggioranza serba del Kosovo, dove la popolazione non lo riconoscerebbe mai come Stato indipendente.

Il ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic

Dal canto suo, il primo Ministro kosovaro Kurti si sarebbe invece lamentato di come Borrell avrebbe condotto il negoziato, affermando che l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea non avrebbe rispettato le premesse dell’incontro, concentrandosi sulle misure da prendere con riferimento alle targhe e non su quello che, a suo parere, avrebbe dovuto essere il grande obiettivo dei colloqui: ovvero un accordo finale legalmente vincolante per la piena normalizzazione delle relazioni con, al centro, il pieno riconoscimento reciproco.

Il primo ministro kosovaro Albin Kurti

In ogni caso, ora che l’accordo non è stato ancora raggiunto il rischio che la situazione possa degenerare in nuovi disordini si fa sempre più concreto.

A partire dai prossimi giorni, infatti, chi non rispetterà l’obbligo di utilizzare targhe kosovare rischierà un ammenda di oltre 100 euro.

Si tratta di un provvedimento (propedeutico all’adozione di misure ancor più stringenti) che, nelle scorse settimane avrebbe già comportato la dimissione in blocco di un gran numero di funzionari pubblici kosovari di etnia serba, tra cui diversi giudici, agenti di polizia, sindaci e parlamentari.

Sulla vicenda sono, ovviamente, intervenuti anche il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello della Difesa Guido Crosetto, che negli scorsi giorni hanno visitato sia Belgrado che Pristina incontrando i loro omologhi serbi e kosovari.

Come ampiamente riportato, sia ai serbi che ai kosovari , il nostro titolare della diplomazia avrebbe ribadito come, per l’Italia, le iniziative unilaterali non siano certo quelle indicate al fine di risolvere i problemi e come Roma intenda fare tutto quanto in suo potere allo scopo di ridurre le tensioni nell’area.

Il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani

Dal canto suo, Crosetto ha invece spiegato come il nostro Paese avrebbe deciso di portare a livello politico lo stesso peso che ha finora avuto a livello militare in quanto maggiore contributore della KFOR (Kosovo Force).

“Se l’obiettivo di Kosovo e Serbia ha aggiunto entrando nel merito dell’attuale crisiè quello di entrare nella grande famiglia dell’Europa, come in qualsiasi famiglia bisogna saper convivere. E se due membri magari non vanno d’accordo, la responsabilità degli altri componenti della famiglia stessa è di farli sedere a tavola e farli mettere d’accordo, in modo che nessuno dei due, però, si senta alla fine trattato in modo diverso rispetto all’altro”.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto

In generale, sia in Serbia che in Kosovo il ruolo del nostro Paese sembrerebbe essere molto apprezzato.

A Belgrado ad esempio, il ministro Tajani avrebbe ricevuto parole di elogio per l’operato dei nostri militari inquadrati nella KFOR, mentre a Pristina il primo ministro Kurti avrebbe dichiarato ai suoi colleghi italiani di Esteri e Difesa di volere “più Italia ai confini del Kosovo”.

Una buona premessa, dunque, per far sì che il nostro Paese inizi a tornare protagonista in una delle aree di maggiore interesse per la sua politica strategica, dove negli ultimi anni ben altri attori l’hanno fatta “da padrone”, spesso anche a nostro discapito.

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