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Strategia di Sicurezza Nazionale, elaborare proprie idee e saperle anche copiare

Di Vincenzo Santo*

Roma. Ancora una volta l’ignoranza da bar la fa da padrona. L’intervista odierna su La Stampa al vice di se stesso Di Maio la dice lunga almeno per quando si riferisce alla National Security Strategy (NSS) americana. Un documento, dice lui, cui far riferimento in tema di sicurezza.

Il Presidente USA, Trump

Peccato che la sicurezza che intende lui non è proprio quella che intende quel documento a stelle e strisce. Va bene copiare, ma almeno si capisca il senso delle cose. Il documento americano ha un respiro ben più ampio e non limita la sicurezza alla “Homeland” e, per esempio, sicurezza è anche quella che implica il garantirsi i propri approvvigionamenti energetici o di materie prime.

L’ignoranza sta nel ripetere pappagallescamente gli slogan asfissianti che popolano ormai il nostro mondo e, appunto, anche l’ambito sicurezza.

Come per esempio nell’uso del termine “minaccia” senza indicare da parte di chi e se questo “chi” ne ha veramente l’intenzione e i mezzi per esserlo e, inoltre, nell’uso e nell’abuso veramente stucchevole associato alla stessa minaccia che, naturalmente è “mutevole” nonché “ibrida”.

Senza tenere in conto come nella storia dell’uomo la mutevolezza delle situazioni e l’impiego nei conflitti anche di strumenti non militari o paramilitari, per conseguire i propri obiettivi, offensivi e difensivi, siano delle costanti. Ma per arrivare a far propri questi passaggi culturali bisognerebbe aver letto e studiato tanto.

Francamente, mi riesce difficile comprendere il perché i media si ostinino a intervistare questi personaggi dal dubbio spessore culturale, a prescindere dal fatto che siano nella circostanza anche vicepresidenti del Consiglio.

È la solita solfa trita e ritrita da parte di chi non ha idee e ripete bovinamente quello che sente dire senza riflettere. E la riflessione, come noto, basata su buone letture, è il passo fondamentale per la formazione del pensiero. Ho già scritto in passato, proprio su questa testata, circa l’abitudine di impiegare tante parole e giri verbali per intortare e impressionare il lettore e l’elettore, levando loro il coraggio di chiedere spiegazioni per non apparire ignoranti.

E poi, basta con questa onnipresente minaccia cibernetica. Non ne posso più!

La questione cyber è sempre all’ordine del giorno di ogni discussione sulla sicurezza

Ridicola, per quanto mi pare di comprendere dalle parole dell’intervistato, io ritengo sia l’affermazione secondo la quale la massima espressione in termini di impiego della tecnologia per la sicurezza “del territorio” sia rappresentata dalla sorveglianza con i droni, come avvenuto sulla “terra dei fuochi”, e l’utilizzo di questi per scovare mafiosi e latitanti.

Come se, a oggi, con tutti i droni che abbiamo nei cieli in Afghanistan, in Siria e via dicendo, fossimo in grado di scovare tutti i terroristi e gli “insurgents” cattivi di questo mondo, che combattono e uccidono da quelle parti. Certo che aiutano, che discorsi, ma non ne farei il cavallo di battaglia di una strategia.

Militari afghani vicino al luogo di un attentato

Strategia è una cosa, tattica ben altro. E la National Security Strategy è appunto una strategia. Ci mancherebbe altro che in un siffatto documento si debba leggere la raccomandazione ovvero l’auspicio dell’utilizzo di “… assetti non pilotati volanti per la lotta contro il crimine organizzato …”. Per carità, non facciamoci ridere dietro. Questo, se mai, sarebbe di competenza di livelli più bassi, cioè per esempio da parte delle Forze di Polizia che inseriscono nella lista della spesa un programma di acquisizione di tali equipaggiamenti.

La strategia scaturisce da un’analisi geopolitica che gli americani compiono. E non solo loro! Analisi certamente elaborata anche su elementi soggettivi in termini di interpretazione delle varie geografie con cui ci si può confrontare oggigiorno, ma anche della storia. Per cui la strategia che ne esce, e che definisce il tracciato delle varie politiche successive, pur viziata e condizionata da elementi appunto soggettivi, dovuti all’ideologia, alla cultura e via dicendo, risponde comunque a ragionamenti volti a tutelare gli interessi nazionali. Insomma, c’è un ragionamento e c’è chiarezza negli interessi e negli obiettivi. Basta leggerli questi documenti, se si conosce l’inglese. Ma se si conosce a stenti l’italiano … .

Quali sono i nostri? Pur copiando la sostanza di quelli che gli americani ritengono siano i loro, una cosa deve essere chiara, sono “universali” per loro, cioè, se si confrontano i documenti delle diverse amministrazioni la sostanza degli interessi non cambia. Possono mutare gli obiettivi e/o le modalità con cui si vogliono conseguire e con quali strumenti.

Ma poi, stabilendo le priorità e le azioni da attuare, quali guide per i vari dicasteri perché declinino le proprie strategie, così come il Segretario alla Difesa elabora una propria National Defence Strategy, a guida di quella che a discendere produrranno i militari nelle loro National Military Strategy, loro hanno il coraggio di definire con chiarezza quali siano le minacce e quali i possibili avversari. Avremo mai noi il medesimo coraggio? Avremo mai la crudezza di specificare, ad esempio, che “… Haftar, appoggiato da Egitto, Russia, EAU e Arabia Saudita mette a repentaglio la soluzione pacifica della crisi libica e, pertanto, mettendo in crisi la stabilità del paese e, quindi, il nostro obiettivo di avere un continuo e ininterrotto flusso di risorse energetiche …”? Così come, lo si può leggere in quella da lui firmata, Trump specifica che “… China and Russia challenge American power, influence, and interests, attempting to erode American security and prosperity …”.

Il Generale Khalifa Haftar

Ma il nostro vizietto di voler essere amici di tutti, ne sono sicuro, ce lo impedirà, rendendo quel documento, se mai verrà fuori, una volgare “supercazzola”. L’ennesima!

Bisognerebbe inoltre far comprendere al sapientone intervistato e alla sua amica alla Difesa, che all’Italia non manca una NSS, bensì un’organizzazione istituzionale che si faccia carico di elaborare una seria politica di sicurezza e di difesa, dove sicurezza significa soprattutto “esteri” e non va confusa con quello che fanno i servizi segreti o le forze di polizia. Sia intanto chiaro questo!

Con questo voglio dire che, e l’ho già scritto (http://www.reportdifesa.it/us-national-security-strategy-impariamo-dagli-altri-anche-copiando/), esiste l’inderogabile necessità, oggi più di ieri, e in un mondo indubbiamente più complesso e più veloce, questo sì, di un Consiglio Nazionale per la Sicurezza.

Infatti, riprendendo le funzioni di quello americano, esso “… is the President’s principal forum for considering national security and foreign policy matters with his senior national security advisors and cabinet officials. Since its inception under President Truman, the Council’s function has been to advise and assist the President on national security and foreign policies. The Council also serves as the President’s principal arm for coordinating these policies among various government agencies”.

Ne consegue che non può un Ministero qualsiasi arrogarsi il diritto di formulare un documento di tale genere. Perché ci vuole una “terzietà”, un ente che lo faccia per mestiere e guidato da un qualcuno che sia anche il principale consigliere per la sicurezza ma che non può identificarsi con nessuno dei ministri. Per capirci, una strategia di sicurezza che delinei gli interessi nazionali e gli obiettivi strategici non può essere delineata da chi di quegli obiettivi è uno degli strumenti per conseguirli. Semplicemente questo!

É da copiare subito dagli americani ma anche da altri, ad esempio dai britannici che lo hanno creato da pochi anni. Persino l’Afghanistan ne ha uno.

Si compia questa di “rivoluzione culturale”, questo cambiamento, prima di pensare di scrivere … e di scrivere, inevitabilmente cose prive di senso pratico. Come quello che viene sistematicamente detto a mo’ di slogan!

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

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