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Coronavirus: l’infezione suscita un’importante immunità specifica. Rimane il dubbio se sia efficace anche nei confronti dei virus mutati

Di Pierpaolo Piras*

Londra. Le reinfezioni – recidiva della stessa infezione determinata dallo stesso fattore etiologico, il coronavirus – da COVID sono insolite, ma potrebbero comunque facilitare la diffusione del virus.

Coronavirus

Questo interrogativo sorge sulla base di una recente ricerca effettuata in tutto il Regno Unito sul personale sanitario, monitorato sulla eventuale diffusione nel  loro contesto (come persone particolarmente esposte a questo rischio) del coronavirus.

Al termine, in totale ne sono stati esaminati circa 20 mila.

Uno dei dati più salienti suggerisce che la maggior parte delle persone infettate dal COVID-19 per la prima volta, e poi clinicamente  guarite,  mantiene questa immunità per mesi dopo l’infezione iniziale.

Quanto dura questa immunità ?

Lo studio ha concluso che “de facto” le risposte immunitarie suscitate da infezioni pregresse riducono il rischio di infettarsi nuovamente dello stesso virus nell’83% dei casi e per almeno cinque mesi.

Al momento attuale, rimangono ancora alcune domande che gli scienziati stanno cercando di risolverle presso i loro Centri di ricerca.

Un test com il tampone per il COVID-19

Nel corso dell’ultimo anno sono state riscontrate ripetute infezioni da SARS-CoV-2, che hanno scosso la fiducia nella capacità del nostro sistema immunitario di sostenere le sue difese nei confronti del virus.

I risultati provvisori dello studio hanno placato alcuni di questi timori.

I dati finora ottenuti suggeriscono che l’immunità, naturale innata e acquisita, potrebbe essere efficace quanto la vaccinazione, almeno nel periodo dei cinque mesi impiegati in tale ricerca.

I dati suggeriscono che le infezioni ripetute sono rare: si sono verificate in meno dell’1% di circa 6.600 partecipanti già malati di COVID-19.

Ma i ricercatori hanno scoperto che anche le persone reinfettate possono portare elevati livelli del virus nelle mucose nasale e faringea, anche quando non mostrano sintomi clinici in questi distretti anatomici.

Tali carichi virali sono, tuttavia, associati ad un alto rischio di trasmettere il virus ad altre persone. Da qui la prescrizione dell’uso della mascherina anche in questi casi.

Il Monitoraggio

Ogni due o quattro settimane, i partecipanti vengono sottoposti a esami del sangue per anticorpi SARS-CoV-2 e test PCR per rilevare il virus stesso.

Nel corso dei 5 mesi, i ricercatori hanno intercettato 44 possibili vittime di una reinfezione da COVID-19 .

Nel gruppo di 14 mila partecipanti, in maggioranza di sesso femminile di età inferiore ai 60 anni,  che non erano stati infettati in precedenza, 318 persone sono risultate positive al virus.

Come il Covid ha sbloccato il potere dei vaccini contro l’RNA virale ?

Alcune delle reinfezioni sono ancora in fase di valutazione.

Tutti i 44 casi clinici suddetti sono stati considerati reinfezioni “possibili” e sono stati qualificati sulla base di test PCR combinati con misure di screening per ridurre il rischio di ri-rilevamento del virus proveniente dall’infezione iniziale.

Cosa è il test PCR ?

Il “test PCR” consiste nella ricerca ed eventuale reperimento dell’RNA virale (il genoma del virus SARS-CoV-2) nelle mucose dei distretti anatomici naso-faringei.

L’analisi si esegue con la metodica molecolare RT-PCR (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction).

Finora, solo 2 di questi 44 casi hanno superato test più rigorosi per essere classificati come “probabili”.

Lo studio non ha valutato se i sintomi fossero migliori o peggiori durante la seconda infezione rispetto alla prima, ma si nota che solo circa il 30% delle persone con possibili reinfezioni ha riportato sintomi, rispetto al 78% dei partecipanti con infezioni avute in prima istanza.

Al momento, non sono ancora disponibili dati sufficienti per concludere chi potrebbe essere più a rischio di reinfezione rispetto ad altri.

Secondo le prime opinioni dei ricercatori, è improbabile che questo gruppo di re-infettati sperimenti la forma più grave di COVID-19.

Gli studiosi stanno ancora raccogliendo dati e si crede che sia prossimo l’accertamento di quanto dura realmente l’immunità acquisita dopo la prima infezione e , col passare del tempo,  e di indagare gli effetti di una recente variante SARS-CoV-2, chiamata B.1.1.7, che è emersa nel 2020 e si è rapidamente diffusa in tutto il Paese.

Sebbene ci siano, già oggi, numerosi riscontri scientifici per ritenere che la protezione immunitaria esistente, eserciti la sua attività terapeutica anche sulle varianti genetiche dei virus mutati, la domanda rimane ancora senza una risposta definitiva.

*Specialista in Otorinolaringoiatria e Patologia Cervico-Facciale

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