L’ospite, il nuovo film di Duccio Chiarini, verrà presentato in prima mondiale nella sezione Piazza Grande della 71ma edizione del Festival di Locarno, in programma dall’1 all’11 agosto 2018. Il film, con Daniele Parisi, Silvia D’Amico, Anna Bellato eThony, è una produzione Mood Film con Rai Cinema in coproduzione con Cinedokke, House On Fire e con RSI Radiotelevisione Svizzera.
Cosa vuol dire rimettere tutto in discussione alla soglia dei 40 anni? Lo scopre a sue spese Guido che, costretto a peregrinare da un divano all’altro nelle case di amici e parenti, realizza che in realtà non si smette mai di rivoluzionare le proprie vite. In un vortice di emozioni che come sempre segue la rottura di un rapporto, Guido scopre con ironia che tutte le relazioni sono difficili a modo loro, a qualunque età. Dai divani sui quali sbarca passando di casa in casa assiste alle vite degli altri, si fa osservatore delle dinamiche di coppia che rendono ogni rapporto un po’ assurdo e difficile da capire, ma non per questo meno spettacolare e interessante da osservare.
La pellicola, secondo lungometraggio di Duccio Chiarini, scritto da Duccio Chiarini, Roan Johnson, Davide Lantieri e Marco Pettenello, è stato sviluppato nei lab di scrittura Cinéfondation Résidence di Cannes e TorinoFilmLab, dove ha vinto il Production Award, oltre ad arrivare finalista al Premio Solinas per la migliore sceneggiatura. Nella colonna sonora del film è presente inoltre un brano originale di Brunori SAS.
“Da un divano all’altro, le disavventure di un uomo in cerca d’amore. Ogni coppia è infelice a modo suo”
Sinossi: Guido pensava di avere una vita tranquilla fino a quando, in un pomeriggio d’inverno, un imprevisto sotto alle lenzuola non arriva a turbare la sua relazione con la fidanzata Chiara. Diretti in farmacia per comprare la pillola del giorno dopo, Guido le propone di non prenderla e Chiara si trova costretta a confessare i suoi recenti dubbi sul loro rapporto. È l’inizio della crisi e Guido è presto costretto a fare le valigie e ad andarsene di casa, ma per andare dove? Incapace di stare da solo, chiede ospitalità nelle case dei genitori e degli amici più cari trovandosi a naufragare da un divano all’altro nell’insolito ruolo di testimone delle loro vite e dei loro grovigli amorosi. Durata 94 minuti.
Il parere del regista
“L’idea di questo film è quella di raccontare quel passaggio della vita legato alla fine di un amore in tutta la sua dolorosa ed anche ironica complessità. Dal tentativo di arrestare il corso degli eventi, convinti che ci sia un gesto che possiamo compiere, o una frase che possiamo dire per riavere con noi la persona amata, all’affannosa ricerca di questo gesto nei consigli degli altri (che ci appaiono improvvisamente saggi ed illuminati quando invece hanno i nostri stessi problemi e insicurezze). In questo percorso siamo spesso portati a mutare il nostro sguardo sulla nostra esistenza: ci vediamo improvvisamente persi e smarriti e cerchiamo così di ridefinirci e migliorarci in tutti gli aspetti che ancora possiamo controllare, come se quel gesto sospeso per non perdere l’altro potessimo ancora compierlo per recuperare noi stessi.
Un percorso che assomiglia molto a quello dei viaggi più avventurosi quando da un luogo conosciuto ci inoltriamo verso l’ignoto con in testa solo una meta vaga, come la ricerca della felicità; un viaggio pieno di battute d’arresto nel quale tuttavia ogni passo compiuto ci aiuta a comprendere qualcosa di più su noi stessi e nel quale un contributo fondamentale arriva dalle persone che incontriamo sul cammino, capaci di donarci un punto di vista diverso sulle cose per aiutarci ad arrivare a quella “guarigione” che all’inizio sembrava tanto lontana.
Sin da quando ho iniziato a pensare a questa storia di separazione e rinascita ero guidato dalla sensazione che qualcosa stesse accadendo un po’ troppo tardi nella vita del protagonista Guido, come se vi fosse una leggera discronia tra i tempi della sua crescita interiore e psicologica e quelli del suo ciclo biologico.
Questa sensazione di malinconica verità che sentivo e sento tuttora molto vicina al mio vissuto e a quello di molti coetanei, mi ha dato l’intuizione che forse un “romanzo di formazione tardivo” potesse essere un modo vero e sincero per raccontare alcune caratteristiche della generazione “iper-formata” alla quale appartengo, una generazione che ha passato anni a specializzarsi teoricamente in mille discipline universitarie e che tuttavia stenta a trovare lo spazio per esercitare concretamente le proprie conoscenze, come se avesse sempre bisogno di nuove conferme prima di prendere una decisione che potrebbe poi rivelarsi sbagliata.
Da questa intuizione iniziale ho successivamente maturato l’idea di raccontare questo momento di crescita in un uomo che si avvicina alla quarantina provando ad avvicinarmi ed osservarlo da tanti punti di vista diversi, uno per ogni lato della sua personalità; ho iniziato così a pensare alle conseguenze della crisi della sua relazione sentimentale in relazione alle sue insoddisfazioni lavorative ma soprattutto in relazione alla sua dimensione di figlio.
Nascendo questa storia da un desiderio di paternità non corrisposto dalla sua compagna, mi sembrava interessante andare ad osservare le conseguenze di questo mancato passaggio all’età adulta anche osservando la vita di Guido nella sua dimensione di figlio di due genitori che stanno lentamente ma inesorabilmente invecchiando; nel passaggio dal ruolo di figlio privo di responsabilità a quelle di adulto chiamato a prendersi cura dei propri genitori sentivo infatti uno spunto emotivo che mi emozionava sinceramente”.
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