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Querelle USA-Iran, si rischia lo stallo della politica estera di Washington

Di Pierpaolo Piras

Washington. E’ ripreso lo scontro verbale tra Iran e USA. Il Presidente statunitense Donald Trump utilizza lo stesso determinato e proficuo approccio diplomatico espresso con la Corea del Nord.

Il Presidente americano Donald Trump

The Donald ammonisce che qualora l’Iran continuasse nella volontà di armarsi di armi nucleari, “subirebbe conseguenze come poche nel corso della storia hanno mai sofferto prima”.

Poche ore prima di questo tweet, il Segretario di Stato Mike Pompeo, annunciava che gli Stati Uniti avrebbero operato con il popolo iraniano per rovesciare l’attuale regime teocratico degli Ayatollah, definiti di spregiativamente come “santi ipocriti”, accusati di saccheggiare, arricchendosi, il proprio Paese e dediti ad attività criminali come il finanziamento del terrorismo islamista nel mondo.

Il principale Consigliere della Sicurezza americana, John R. Bolton, in risposta alle repliche del Presidente iraniano, Hassan Rouhani, augura una politica “più aggressiva e globale” verso l’Iran.

Come con Kim Jong-un, Trump vuole esercitare una forte pressione politica sull’Iran per costringerlo ad un atteggiamento remissivo.

La stretta di mano tra Kim e Trump per mettere fine alla querelle sul nucleare nord coreano

In realtà, gli Usa avrebbero alcune importanti difficoltà a replicare il successo ottenuto con la Corea del Nord.

In primis, Kim Jong-un è l’unico uomo col potere di assumere, in piena autonomia, una qualsiasi decisione politica interna ed internazionale. La società e la classe politica di Governo iraniane sono, invece, più articolate e complesse e, pertanto, più difficili da condizionare all’unanimità.

Contro ogni intenzione di giungere ad un compromesso con l’Iran – e le nazioni musulmane medio-orientali – Trump dovrà confrontarsi con la potentissima “lobby” dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) ben nota negli USA per i magnanimi finanziamenti a numerosi circoli politici, anche elettorali, e per la già sperimentata capacità di condizionamento della politica americana a favore di Israele ed ,in particolare, del Likud, partito israeliano nazionalista di centro-destra, oggi rappresentato da Benjamin Netanyahu.

Infine, la decisione unilaterale americana di abbandonare l’accordo sul nucleare del 2015 , aggravato dalla ripresa delle antiche sanzioni economiche e la restrizione dei visti d’ingresso negli USA, se da un lato costringe l’Iran a vedere Trump come unico interlocutore, dall’altro apre un secondo tavolo di trattazione critica con gli altri cinque firmatari, Inghilterra, Cina, Russia, Germania e Francia, rimasti fedeli al Trattato.

Al di là delle parole, pronunciate “fire and fury” da Trump, è evidente l’intimidazione per giungere ad una soluzione soddisfacente per entrambi. D’altra parte, il Governo iraniano sa bene che in caso di conflitto armato, le proprie forze armate sarebbero rapidamente sopraffatte dalla potenza aero-navale americana.

È molto improbabile che l’Iran accetti in temi rapidi di rinegoziare, non prima di avere aumentato la sua influenza, né fino a quando non ritenga di avere davvero qualcosa da guadagnare da un nuovo accordo. Come, ad esempio, portando prima a compimento il suo programma nucleare piuttosto che ridurlo o annullarlo secondo il desiderio degli Stati Uniti.

Questa prospettiva è resa verosimile dalla protervia di un regime ecclesiastico che da circa 40 anni predica la “morte in America” e radicalizza le sue frange più estreme con una martellante propaganda antiamericana.

E’ più probabile un’escalation militare nello stretto di Hormuz dove le motovedette delle Guardie rivoluzionarie hanno più volte “molestato” le navi della Quinta Flotta che da sempre pattugliano quel tratto di mare.

Lo Stretto di Hormuz

Lo Stretto ha già fatto da sfondo a scontri militari, come nel 1988 quando tre unità militari iraniane vennero affondate dalla US NAVY e due piattaforme petrolifere distrutte dopo che una fregata americana venne colpita da una mina iraniana.

Entrambi, specie l’Iran, devono prendere atto che si tratta di scongiurare un equilibrio di potere globale fragile, ma da mantenersi intatto per la tutela della pace.

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