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Iran-Stati Uniti, un conflitto iniziato 40 anni fa

Di Pierpaolo Piras

Tehran. Il mondo è rimasto scosso dal recente attacco iraniano con alcune decine di missili balistici a testata convenzionale a due importanti basi statunitensi in territorio iracheno: quella di Ail Al Asad nell’Iraq occidentale e quella di Erbil, nella grande area petrolifera del Kurdistan.

La mappa dell’attacco di ieri sera

Secondo il Governo iraniano, il bombardamento missilistico è stato deciso in risposta alla eliminazione di venerdì scorso, realizzato da un drone americano, del potente Generale Qasem Soleimani, da molti ritenuto il numero due della politica iraniana.

Soleimani era il comandante supremo della guardia d’élite della Guardia Repubblicana (IRGC), responsabile per procura delle forze iraniane in tutto il Medio Oriente.

Ma negli USA era considerato dagli apparati di sicurezza USA come un un terrorista, accusato della morte di centinaia di soldati americani ed in continua attività di pianificare attacchi, anche imminenti.

L’ayatollah Khamenei, leader supremo della Repubblica Iraniana, ha definito l’attacco come “uno schiaffo in faccia” rivolto verso gli Stati Uniti.

Ora, le Cancellerie di tutto il mondo si chiedono se questo pericoloso aggravamento dei rapporti politici sia la fine della escalation oppure l’Iran abbia voluto esprimere una volontà di rappresaglia, escludendo l’intenzione verso un conflitto totale.

La tensione tra gli Stati Uniti e l’Iran risale almeno al febbraio 1979, allorché lo Shah Reza Palhavi, filoamericano, venne deposto e il Paese divenne una repubblica teocratica con a capo l’ayatollah Ruhollah Khomeini.

lL ayatollah Ruhollah Khomeini

Pochi mesi dopo, a seguito della concessione di asilo allo Shah dato dagli USA, il personale (52 persone) dell’ambasciata americana a Teheran, capitale dell’Iran, venne tratto in ostaggio per ben 444 giorni. Da allora le relazioni politiche tra le due sono rimaste gelide durante tutti i governi americani, sia dei repubblicani che dei democratici.

Si è dovuto attendere il 2015 quando l’Iran sedette al tavolo diplomatico firmando un accordo inteso a strutturare il programma nucleare in senso pacifico. A seguito di ciò, vennero meno le preoccupazioni europee per la pace e l’Iran poté godere di numerose facilitazioni e esenzioni in campo economico.

L’elezione di Donald Trump nel 2016 determinò una svolta della politica americana: Trump “odiava” l’intesa: “L’accordo è il peggiore mai negoziato”, disse.

Favorito in ciò anche dal forte sospetto che l’Iran stesse fraudolentemente violando il divieto di sintetizzare il combustibile necessario per dotarsi di un eventuale armamento nucleare.

Nel 2018, infatti, gli USA abbandonano l’accordo ripristinando le precedenti sanzioni economiche con l’intento di costringere i governanti iraniani a nuove sedute negoziali.

Così non è stato. Anzi, la tensione è aumentata: l’anno scorso l’Iran viene accusato di alcuni attacchi a petroliere americane in prossimità dello Stretto di Hormuz. Poi, nel maggio 2019, gli USA hanno applicato sanzioni ai Paesi che hanno mantenuto relazioni con l’Iran.i

Ancora, si arriva al giugno 2019 quando sei petroliere sono state attaccate nel Golfo di Oman.

Nel dicembre 2019 un appaltatore statunitense viene ucciso nell’Iraq settentrionale da una milizia filoiraniana. Qui la reazione USA fu immediata con il bombardamento delle basi di tali milizie situate in Siria e Iraq.

Recentemente la situazione è decisamente peggiorata con il gravissimo attacco alla ambasciata americana a Bagdad.

Il personale diplomatico tutt’al più lo si espelle, in nessun caso si deve mettere a rischio la sua incolumità.

Con l’ultimo attacco missilistico alle due basi americane del 3 gennaio, il Governo iracheno si trova in difficoltà, costretto a barcamenarsi tra Iran e USA, entrambi suoi alleati.

Il primo ministro iracheno, Adel Mahadi, si è espresso favorevolmente alla permanenza dei militari USA nel suo territorio: essi rappresentano un elemento utile al mantenimento un più ampio e pacifico equilibrio tra la componente sciita e quella radicale sunnita. Sostiene però che gli USA abbiano esagerato definendo l’uccisione di Soleimani come una sfacciata violazione della sovranità politica e territoriale della repubblica irachena.

A destra il Generale iraniano ucciso, Soleimani

Al di là delle folle oceaniche convocate al funerale del comandante Soleimani e dei toni altisonanti ricchi di retorica e minacce ritorsiva verso più o meno il resto del mondo occidentale, i due focosi protagonisti, USA e IRAN, non sembrano poi così convinti di intentare ad una guerra totale piena di rischi incalcolabili.

In senso alla società iraniana sono ancora vividi e dolorosi i ricordi della guerra di ben otto anni (1980-88) tra l’Iran e l’Iraq di Saddam Hussein.

Un conflitto devastante con numerosi villaggi distrutti, migliaia di curdi “gasati” con armi chimiche e centinaia di migliaia di giovani vittime, il cui ritratto con nome è spesso ancora visibile nelle strade delle città iraniane.

La volontà iraniana potrebbe essere quella di attaccare un obiettivo di alto profilo ma con poche vittime, perseguendo una strategia a lungo termine spingendo gli americani al ritiro delle proprie forze armate dall’Iraq.

In questo guazzabuglio di missili, bombe, fesserie altisonanti, dette e ripetute anche da chi conta poco o niente pensando però il contrario, si aggiungono le contraddizioni di The Donald che si pronuncia con un rilassante: “Va tutto bene”!

Forse ad ulteriore meraviglia, gli fa eco Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri iraniano, il quale minimizza non senza la esibizione di una grandiosa faccia tosta: “L’Iran ha adottato e concluso misure proporzionali di autodifesa ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite contro la base da cui sono stati lanciati attacchi armati codardi contro i nostri cittadini e alti funzionari”.

 

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