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Kosovo, parla il Generale Mauro Del Vecchio che nel 1999 comandò il contingente italiano nel Paese balcanico: “La presenza italiana conquistò il consenso della popolazione civile”

Caserta. Nei tre anni di guerra (1996-1999) in Kosovo fu, principalmente, la popolazione civile ad essere vittima degli scontri.

La mappa dell’area

E il 12 giugno 1999 su mandato delle Nazioni Unite, due giorni dopo l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza, della Risoluzione 1244, fu inviata una Forza militare che fu denominata KFOR (Kosovo Force).

Un’immagine della guerra in Kosovo

All’epoca il Paese stava affrontando una grave crisi umanitaria, con scontri quotidiani tra le Forze militari della Repubblica Federale di Jugoslavia e le Forze paramilitari dell’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK – (Esercito di liberazione del Kosovo).

La tensione tra i gruppi etnici era molto alta ed era molto alto il numero delle vittime degli scontri. Furono  circa un milione i profughi che avevano lasciato la regione.

Il compito della missione era quello di proteggere i civili e disarmare i due contendenti in lotta.

Ieri,  a Caserta, si è tenuta una cerimonia militare alla presenza del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale di Corpo d’Armata Salvatore Farina, di numerose autorità civili e militari, dei rappresentanti delle 4 Forze Armate, dei familiari dei Caduti e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma.

E proprio per ricordare quei giorni, Report Difesa ha intervistato il Generale di Corpo d’Armata (in quiescenza) Mauro Del Vecchio, primo comandante del contingente italiano nel Paese balcanico e comandante della Brigata Bersaglieri “Garibaldi”.

Ai suoi ordini c’erano oltre ai soldati italiani anche quelli spagnoli, portoghesi.

Il Generale di Corpo d’Armata (in quiescenza) Mauro Del Vecchio interviene a Caserta alla cerimonia del Ventennale della missione in Kosovo

L’area di competenza era quella occidentale, comprendente le città di Pec, Dakovica, Decani e Klina.

Generale Del Vecchio, che missione è stata quella in Kosovo, 20 anni fa?

Senza dubbio è stata un missione che è servita da esempio per tutte le missioni di stabilizzazione. In questa circostanza sono stati messi in evidenza settori di intervento che prima non c’erano,

Non si è trattato solo di una missione militare per l’assolvimento di compiti che sono propri delle Forze Armate ma è stata una missione che ha messo in campo una serie di attività per aiutare la popolazione, per la ricostruzione, per la crescita delle istituzioni che mancavano. Ed ancora: per la salvaguardia del patrimonio culturale.

Tutti questi sono aspetti che hanno qualificato la missione come particolarmente importante anche in prospettiva futura.

Quale fu il primo ostacolo che incontraste quando arrivaste in Kosovo?

Abbiamo dovuto superare il disagio morale di vedere un Paese così malridotto. Gli uomini che, in quel momento, si trovavano sotto la mia guida erano a rischio depressione di fronte alla terribile situazione che incontrammo.

Ma seppero trovare, in loro stessi, la forza di reagire, la volontà di essere determinanti, la capacità di lasciare il segno della loro presenza.

La storia racconta che quando arrivaste  la popolazione kosovara vi accolse quasi a braccia aperte…

L’Italia ha avuto una presenza significativa nei Balcani in genere e in Kosovo in particolare. Una presenza che, come lei ha ricordato, ebbe il consenso, l’affetto e la stima da parte di quelle popolazioni.

Vorrei aggiungere un altro aspetto che ritengo molto importante da ricordare.

Quale?

L’attività degli italiani e dei contingenti nazionali è stata sempre corretta in ogni circostanza ed ha sortito atteggiamenti favorevoli da tutte le parti in lotta.

Abbiamo ricevuto riconoscimenti non solo dai kosovari che si sono visti protetti da noi nei suoi diritti basilari ma anche da parte dei serbi nel momento in cui si è trattato di difendere quelle minoranze che venivano aggredite non più dai serbi stessi ma dai kosovari,

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