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Libano, cosa c’è dietro la rivolta

di Pierpaolo Piras

Beirut. Da oltre dieci giorni infiamma progressivamente la protesta in una sorta di braccio di ferro tra dimostranti e l’esercito e forze di polizia del governo libanese.

I disordini a Beirut nei giorni scorsi

I cittadini in piazza protestano esasperati per la crisi economico-finanziaria e per gli scandalosi esempi di corruzione ed incompetenza dei governanti, che stanno impoverendo il Paese.

Le banche sono serrate per mancanza di liquidità. Le università e scuole di ogni grado sono chiuse per ragioni di sicurezza.

I principali assi stradali da e per Beirut sono bloccati aggravando ulteriormente l’impoverimento del Paese.

Non in ultimo il fenomeno dell’immondezza selvaggia visibile per ogni dove.

La strategia è chiara: la protesta urbana è l’unico strumento che la gente ha per sedersi ad un tavolo conciliativo col governo, preventivo allo scatenamento della violenza incontrollata.

Crisi finanziaria

Al centro dei disordini c’è la depressione economica e un enorme debito pubblico, che oggi ha raggiunto il 150% del prodotto interno lordo. Le conseguenze sociali sono gravi per la mancanza di liquidità che impedisce il pagamento dei fornitori di grano, medicine, petrolio ed altri beni di prima necessità. Tutti apparentemente collegati al clientelismo senza limiti.

Ancora, il costo della vita è aumentato mentre i salari sono fermi. La disoccupazione, specie giovanile ed istruita, è cresciuta insieme all’emigrazione dei più istruiti.

La pazienza dei libanesi è terminata alcuni giorni fa con la decisione governativa di tassare le telefonate gratuite tramite i più conosciuti social media, in aggiunta ad altre austerità.  L’immediata recrudescenza degli scontri con il rischio di determinare vittime, ha determinato le dimissioni (poi ritirate) del Primo Ministro libanese, il 49enne sunnita Saad Hariri, secondo figlio dell’ex leader libanese Rafic Hariri, assassinato nel 2005. La sua famiglia è considerata politicamente la più potente e ricca del paese dei cedri.

Il primo ministro libanese Saad Hariri

Hariri è il fondatore del “Partito del Movimento Futuro”, che governa la Repubblica del Libano in una coalizione con Samir Gagea, capo della componente cristiana dell’elettorato. Seguono l’influente movimento sciita “Hezbollah” sostenuto dall’Iran guidato da Hassan Nasrallah ed il Movimento Patriottico Cristiano Libero del ministro degli Esteri, Jibran Bassil.

Le dimissioni di Hariri hanno creato un pericoloso vuoto di potere che tutti i partiti della coalizione vogliono evitare, superando necessariamente le proprie divisioni interne e proponendo la costituzione di un governo d’emergenza capace di allontanare la possibilità, oggi reale, di un tracollo finanziario e guerra civile tra le parti.

Persino Walid Jumblat, capo dei drusi, sostenitore delle dimissioni, attualmente esprime il forte sostegno ad un’eventuale piano d’emergenza.

Hassan Nasrallah leader del movimento sciita Hezbollah

La situazione, come spesso accade in Medio Oriente, è ancora confusa e facilmente mutevole.

Tra le legittime ambizioni dei leaders di partito, spiccano quelle ritenute più realizzabili di Saad Hariri che alle ultime elezioni ha avuto una sensibile erosione del suo elettorato. Per questo egli ha ora la necessità di mantenere le sue posizioni politiche nell’attuale governo, avendo così la possibilità di curare maggiormente gli interessi dei suoi elettori. Inoltre, gli consentirebbe di seguire meglio la ripresa economica nel ruolo di Primo Ministro.

In passato, il Libano ha conosciuto altri episodi di violenza urbana generati dai giovani della seconda guerra israelo-libanese del 2006 (la prima fu nel 1982) cooptati poi in movimenti ognuno dei quali con un capo politico ed una struttura prevalentemente settaria.

Le odierne proteste in Libano non dimostrano alcuna ispirazione verso movimenti politici, tanto meno se settari. Anzi, tutti i leaders politici sono convintamente bollati come corrotti, incapaci e pertanto dannosi per la gestione degli affari di Stato.

La giovane età dei manifestanti e gli striscioni esposti nel corso delle sfilate dimostrano, piuttosto, espressioni sia di solidarietà interreligiosa che di località. Rifiutano le élite politiche e condannano gli indisponenti privilegi dei quali godono la classe politica ed industriale.

Emergono solo istanze popolari con scarsa adesione alla politica, specie se dogmatica o religiosa, che molto hanno in comune con gli sconvolgimenti di piazza attualmente attivi nel mondo: Cile, Irak, Hong Kong ed altri.

Le forze di polizia hanno avuto un comportamento conciliante. Lungi dallo schierarsi in agmen quadratum, evitano costantemente il peggioramento del conflitto, specie a Beirut.

Qualunque sarà il prossimo governo, l’attuale oppure un altro d’emergenza, esso dovrà adottare misure rapide per soddisfare i bisogni essenziali della popolazione, sia con prestiti bancari internazionali capaci di restaurare le finanze statali che con l’immediata importazione di derrate alimentari per la società e per l’infanzia.

Probabilmente l’ostacolo più grosso sarà liberarsi (…anche per i libanesi!) di una classe politica che finora ha dimostrato così grave noncuranza per la tutela dello Stato ed il benessere della popolazione.

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