in

NATO: il pericoloso concetto dell’adattamento

Di Vincenzo Santo*

Bruxelles. Il 4 aprile prossimo si festeggerà il 70° anniversario della firma del Trattato Atlantico. L’ambasciatore americano qui da noi, Lewis Eisenberg, ha reputato utile regalarci una su perla letteraria sulle pagine del Corriere della Sera, di domenica scorsa.

Il quartier generale della NATO a Bruxelles.

Forse anche per ricordarlo a noi italiani che negli altri giorni potremmo non accorgercene, troppo presi dai congressi sulla famiglia, dalle polemiche su TAV e Cina sì o no, dalla legittima difesa se sia cosa buona o da Far West e dalle interminabili promesse di soldi a pioggia, per dare finalmente sostanza alla “bolla pentastellata” che la povertà è stata finalmente sconfitta. E Dio solo sa da quale altro diavolo di slogan dei due vice di se stessi saremmo distratti.

Niente di nuovo! È sempre la solita solfa, le consumate, trite e ritrite affermazioni apodittiche volte a dare sostanza a un qualcosa che l’ha persa da tempo. La musica insomma è la stessa: meno male che la NATO c’è ancora! La storia delle alleanze dovrebbe dirci qualcosa, a partire dalla Lega di Delo, allorquando la leadership si trasforma in arroganza e protervia.

Cioè che aggiustamenti e adeguamenti, spesso favoriti da forzati compromessi – Eisenberg parla di “adattamento” che non è necessariamente una bella cosa – ma anche da pigra e superficiale accondiscendenza, deformando le originarie finalità, non fanno altro che allungare l’agonia di un sodalizio, rischiando persino di far riemergere dimenticati dissapori.

Ma la storia, si sa è acqua passata. Lui, l’ambasciatore, ci illumina, affermando che “… la Guerra Fredda è finita, ma l’Alleanza resta centrale oggi come lo era nel 1949 …”. Dimenticando che i tempi sono differenti e differente la ragione per cui la NATO venne creata. Dovrebbe rileggersi Nicholas John Spykman e la teoria del Rimland.

Nicholas John Spykman e Sir Halford John Mackinder

E perché mai dovrebbe essere ancora centrale?

Perché, mi pare di aver capito, abbiamo ora due minacce, una russa e l’altra cinese. Quindi durante la Guerra Fredda ne avevamo solo una, l’Unione Sovietica, oggi persino due, e del tipo che mettono a repentaglio la nostra sopravvivenza democratica e liberale. Ora, secondo me, la minaccia è la composizione inscindibile di capacità, e su questo forse possiamo concordare che entrambi quei colossi ne hanno, almeno di ordine militare, ma anche della volontà evidente e comprovata di applicare quelle capacità, magari per sovvertire un equilibrio oppure per occupare uno spazio lasciato libero da altri.

Come insegna John Mearsheimer, il quale diceva, più o meno, che dal momento che con l’essere egemone i benefici in termini di sicurezza sono enormi, in un sistema anarchico in cui non esiste più un’entità egemone mondiale – e non siamo lontani da quella realtà – altre potenze tenteranno inevitabilmente di emulare uno più potente, per esempio gli Stati Uniti, e cercare di dominare se non altro la propria area regionale.

John Mearsheimer

Come ahimè è naturale, e penso più alla Cina che alla Russia. Ma vale per essa l’ambito economico più che l’uso del cannone. Almeno, per la sua penetrazione commerciale in Europa.

E su questo francamente mi sento un tantino confuso. Cioè non comprendo perché la Russia o la Cina vorrebbero avercela con l’Italia o con la Germania o l’Olanda e, infine, per quale motivo un Putin dovrebbe manu militari voler mettere piede, per esempio, in Vilnius o in Tallinn. E, francamente, anche fosse? Credo che almeno il 70% degli italiani, quelli che pare leggano meno di un libro l’anno, possano vantare l’assoluta ignoranza di cosa siano e dove stiano Vilnius e Tallinn. E poi, insisto, perché Putin dovrebbe rischiare di portarsi in casa altri problemi visti quelli che ancora tenta di gestire nel suo Caucaso o nel Mar d’Azov?

E, soprattutto, quell’eventuale spazio lasciato “libero” dovremmo occuparlo con la NATO? Non so, per esempio, in Medio Oriente o nel Pacifico? Insomma, che la Cina prima o poi si farà un sol boccone di Taiwan sarei pronto a scommetterci, ma credo che la geopolitica del Pacifico si debba limitare a essere nelle attenzioni di Washington, non necessariamente anche nelle nostre o in quelle di questa benedetta Alleanza, a meno che non la si voglia “adattare”.

E se questi adattamenti dovessero sfuggire di mano? La verità è che ci avviciniamo all’ennesimo anniversario di un oramai walking dead e che andare al traino in politica estera può essere pericoloso se poi ci si “adatta” a quella di altri, che dell’Alleanza si servirebbero per legittimare quello che vogliono fare dove lo vogliono fare per rispettare altri impegni o per farsi carico di errori imperdonabili come aver consentito l’accesso a paesi non in grado di resistere individualmente, e almeno inizialmente, ad un attacco armato. Questo io leggo nell’articolo 3 del Trattato.

Certo, è da riconoscere, lo schermo della NATO ha consentito nell’immediato dopoguerra a regimi ormai democratici e liberali dell’Ovest europeo di crescere e di svilupparsi adottando criteri economici sconosciuti oltre cortina. Ha offerto il suo deterrente convenzionale e nucleare per evitare che le mire espansioniste dell’allora regime comunista sovietico non si accontentasse della “buffer zone” creata con paesi satelliti, poi divenuti parte del Patto di Varsavia. Un equilibrio di potere, non nuovo nella storia dell’uomo, giocato su un’improbabile apocalisse nucleare da parte di due visioni geopolitiche opposte. Quella su base continentalista dell’Heartland e quella del Rimland, Halford John Mackinder contro il già citato Spykeman, con qualche spruzzata di Mahan.

Ma la NATO non ha sconfitto nessuno, non è stato questo sodalizio a far collassare l’Unione Sovietica. Dove si è “adattata” ad intervenire, essa lo ha fatto cercando inspiegabilmente di insegnare il proprio modo di combattere a chi sapeva già farlo a modo suo e nel solo modo che la sua realtà locale richiederebbe, oppure creando maggiori problemi come in Libia oppure, ancora, non risolvendo nulla come nei Balcani.

In Afghanistan il discorso è differente. Le operazioni e il comando sono solo a guida americana, la NATO è una comparsata ridicola, e lo si può vedere dalla composizione del Comando ISAF ieri, Resolute Support oggi.

Soldati americani di pattuglia in un villaggio afgano

Lì la NATO non esiste, se non per integrare i fondi che già gli americani vi versano e per garantire un’alea di legittimità internazionale. A cosa? In un paio di righe, perché ho già scritto sull’argomento su questo giornale, da quella parti vale la strategia dell’instabilità, una visione americana più ampia di quanto gli “alleati e amici” riescano a cogliere, che va a sovrapporsi ai tracciati della via della seta cinese o a impedire che la Russia riprenda un vero controllo sui paesi dell’Asia Centrale.

Senza considerare la buffonata di avere a cuore il destino dei Paesi Baltici, o della Polonia, facendo una pericolosa confusione tra readiness e responsiveness. Quest’ultima infatti è un requisito inesistente e impossibile a realizzarsi, e l’ho accennato a proposito dell’articolo 3, mentre la prima è assolutamente inutile, incapace di garantire alcuna deterrenza o dissuasione nei confronti di un ipotetico avversario che, godendo del grande vantaggio di manovrare per linee interne, avesse veramente intenzione di acquisire obiettivi territoriali giusto al di là del confine. Raggiungibili militarmente in poche ore mentre qui da noi si sta ancora cercando di capire dove trovare gli aerei per la nostra VJTF (Very High Readiness Joint Task Force).

In buona sostanza, è urgente la necessità di chiarire che stare in un’alleanza non è uno scopo ma solo un modo diplomatico di conseguire “propri” obiettivi per salvaguardare “propri” interessi secondo “proprie” modalità. Se ciò non è più possibile, meglio uscirne. Pertanto, i nostri governanti, tra un tweet e l’altro farebbero bene a studiare e quindi fare una riflessione seria su questo punto ma anche sul perché noi ci sentiamo in dovere di garantire la permanenza sul nostro territorio, la cui geografia offre grandissimi vantaggi geostrategici, a forze armate straniere.

E di farlo in fretta, prima di divenire prigionieri della trappola di Tucidide, per via di qualche “adattamento”, per esempio nel Pacifico e, pertanto, in avventure che non ci appartengono. Riprendendo e parafrasando quello che diceva sempre lo storico greco, il mondo come lo conosciamo oggi e come del resto era anche ieri, è sempre il semplice risultato di forze proprie della natura umana, quali la paura, l’interesse personale e il senso dell’onore, il che ne fa costantemente un luogo mutevole di conflitti e coercizione.

Ne deriva, a mio avviso, che tale mutevolezza dovrebbe farci comprendere la necessità di non farsi ubriacare dai luoghi comuni futili e stucchevoli che saranno lanciati nella circostanza di questo anniversario e che questo ambasciatore ha ritenuto di doverceli anticipare, buttando lì un apparente innocente concetto, quello dell’adattamento.

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (Ris)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’articolo NATO: il pericoloso concetto dell’adattamento proviene da Report Difesa.

What do you think?

Written by Report Difesa

Quotidiano di geopolitica e di sicurezza nazionale ed internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

GIPHY App Key not set. Please check settings

Esercito, runners del Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione di Torino alla mezza maratona del capoluogo sabaudo

Sahel, breve storia dell’Operazione Barkhane nata per stabilizzare l’area