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Occupazione nazista di Roma: parla la presidente della Comunità ebraica della Capitale, Ruth Dureghello. “Grazie ad un protocollo con i Carabinieri per il recupero dei beni artistici razz

Roma (dal nostro inviato). L’Arma dei Carabinieri e la Comunità ebraica romana insieme per recuperare le opere d’arte saccheggiate dai nazisti, ai tempi dell’occupazione tra il 1943 e il 1944.

16 ottobre 1943: il rastrellamento del Getto di Roma

Molti i beni derubati agli ebrei e che oggi, grazie alle indagini sempre più serrate, stanno ritornando ai legittimi proprietari.

Report Difesa ha intervistato la presidente della Comunità ebraica della Capitale, Ruth Dureghello.

La presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello con il comandante del TPC, Generale di Brigata Roberto Riccardi

Presidente Dureghello, cosa rappresenta per la Comunità ebraica il protocollo firmato con l’Arma dei Carabinieri?

Tra la Comunità ebraica romana e l’Arma dei Carabinieri c’è una lunga amicizia, di molti anni.

Questo protocollo afferisce alla tutela dei nostri beni culturali. Ha un valore simbolico ma anche operativo. Molto importante per tante ragioni.

Quali?

Consolida, innanzitutto, il rapporto tra le nostre due istituzioni e poi perché si inserisce in un contesto che entrambi abbiamo particolarmente a cuore.

La nostra Comunità, da sempre, intende tramandare la Storia attraverso i propri oggetti, i propri documenti, le proprie testimonianze di quelli che sono stati 2200 anni di permanenza qui a Roma.

Il nostro Museo, il nostro Archivio custodiscono oggetti di memoria e di tradizione che sono stati anche razziati o le famiglie ebraiche ne hanno perso il possesso.

Una delle Sale del Museo ebraico di Roma

Riconoscere, quindi, nella Comunità l’interlocutore primo per documentare e per restituire ai legittimi proprietari quei beni è il simbolo di una grande attenzione da parte dell’Arma dei Carabinieri, del Paese intero. È anche una spinta ulteriore per sollecitare la restituzione di beni che ormai circolano in Italia ed in Europa in maniera spesso non controllata.

A livello internazionale INTERPOL e Carabinieri vigilano. Ma se non ci fossero momenti come quello della sigla del protocollo dei giorni scorsi e la costituzione di rapporti strutturali molto profondi, questo lavoro sarebbe disperso nelle altre tante priorità.

Un punto particolare è proprio quello della restituzione degli oggetti e dei libri razziati durante tutto il periodo delle persecuzioni fino alla razzia della Biblioteca della Comunità e fino a quella del Collegio Rabbinico, ai primi giorni dell’ottobre 1943. Il 7 ottobre dello stesso anno oltre 2.500 Carabinieri furono catturati e deportati.

Contestualmente, venivano portati via i registri, i documenti e i libri di questi importantissimi archivi. Siamo ancora alla ricerca di oltre 7 mila volumi.

Alcuni dei volumi recuperati dai Carabinieri del TPC

Si tratta di un patrimonio enorme su cui non possiamo perdere l’attenzione per recuperare la memoria e la dignità anche di chi non c’è più.

I libri rappresentano la nostra identità. Nella Storia ebraica è stato documentato che quando ci vogliono distruggere si inizia dai libri per farci perdere le radici, la cultura, le tradizioni. Tutto quello su cui fondiamo il nostro presente.

Basti pensare al rogo del Talmud a Campo de’ Fiori, alla Notte dei Cristalli fino alle razzie successive.

Un negozio ebraico saccheggiato dai nazisti in occasione della Notte dei Cristalli

 

Recuperare questi volumi significa recuperare la nostra memoria e la civiltà.

Ci sono vostri esperti che battono la strada dei collezionisti, delle Case d’asta per scoprire eventuali opere trafugate che vengono messe in vendita?

I nostri esperti sono gli storici, i tecnici del Museo e degli archivi, divisi per epoche differenti. Il problema non è tanto riconoscere un’opera ebraica, connotarla ed inserirla in un contesto storico.

Il problema più importante è quello di definirne la provenienza e per farlo occorre fare un lavoro comune della raccolta della fonte storica, tramite parenti, figli, foto dell’epoca o altri tipi di documenti, mettere insieme queste informazioni ed affidarle a chi di dovere affinchè possano essere restituite al legittimo proprietario.

Abbiamo esperti all’interno del nostro Archivio con il suo direttore Claudio Procacci e il suo staff.

Abbiamo nel Comitato scientifico del Museo autorevoli ed eminenti rappresentanti che sono in grado di decodificare alcune opere.

Abbiamo poi i nostri documenti di archivio, con un registro delle opere e dei libri trafugati. Venivano fatti censimenti di questa e del Collegio rabbinico.

Se Simon Wiesenthal ha rappresentato il più grande cacciatore ebreo di nazisti in fuga. Chi è un grande cacciatore ebreo di opere d’arte trafugate? Se c’è.

Io non glielo so dire, so però che le opere che ci sono state restituite fanno parte del fondo di uno che è stato definito lo 007 dei Beni e delle Attività culturali italiano, Rodolfo Siviero che, per anni, hanno concentrato la loro attività nella ricerca di questi beni.

Era un funzionario dello Stato e al pari di altri funzionari dello Stato che, pochi anni prima, in questo Paese avevano operato attraverso le leggi razziali privazioni, espropri e quanto di più malvagio, feroce e inaccettabile potesse essere fatto, si è dato invece da fare, si è speso per restituire un po’ di giustizia.

Anche la Commissione Anselmi istituì un tavolo ad hoc per le restituzioni. All’epoca il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva molto chiara questa linea è la perseguì nelle sue decisioni.

Ma il tema, ancora oggi, rimane molto attuale.

Non so dirle se oggi ci sia un Simon Wiesenthal dei beni culturali e artistici ma sicuramente ci sono persone che hanno particolarmente a cuore e a cui va la nostra gratitudine. Voglio citare il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt.

Simon Wiesenthal, noto per essere stato uno dei più grandi cacciatori di nazisti in fuga

 

 

Grazie a lui partì prima un convegno sulle leggi razziali, a cui seguì poi un’operazione di altissimo livello per la restituzione ai legittimi proprietari di un’opera che era custodita agli Uffizi.

La Germania vi aiuta?

Si. Anche perché in Germania il processo culturale di assunzione di responsabilità sui fatti accaduti nella II Guerra Mondiale sta permeando tutto il sistema normativo, giuridico, persecutorio tedesco.

Non posso non menzionare la questione della “Dama d’oro” di Klimt.

Vanno però scardinate ancora molte pregiudiziali in Italia dove i conti con la Storia sono stati fatti un po’ meno.

Un esempio: solo una decina di anni fa il Comune di Roma restituì la licenza di vetturino ad un nostro iscritto. Era stata sottratta al nonno durante il periodo delle leggi razziali.

Ancora oggi scopriamo negli archivi, anche militari, tutto quanto è stato subito dai nostri nonni.

Il 16 ottobre 1943 ci fu la deportazione degli ebrei da Roma. Avete un numerico di quante opere, quanti beni possano essere stati saccheggiati in quei momenti?

Il tema non è solo quello che è stato portato via dagli ebrei il 16 ottobre 1943 e fino al maggio 1944. Partiamo dagli oltre 7 mila volumi, alcuni risalenti al ‘400-‘500, un patrimonio storico della Comunità andato disperso. Ma anche di tanti beni fatti oggetto di vendite forzate.

Sarebbe giusto avere un censimento di queste opere d’arte. Certo è difficilissimo. Molte famiglie sono state sterminate. Non c’è più la memoria storica di chi si ricorda dove magari era collocato un quadro.

Però il livello di attenzione deve restare alto.

Se venisse magari trovato uno scritto, si potrebbe agevolare la ricerca?

Il lavoro maggiore è l’incrocio dei dati: quelli d’archivio con le lettere, gli scritti che si ritrovano. Dobbiamo fare sinergia in un network dove tutto questo venga messo a sistema. Ed ecco spiegato il perché del Protocollo con l’Arma dei Carabinieri.

Per anni la vostra Comunità ha fatto una battaglia anche legale sul tema dei collaborazionisti italiani con i tedeschi. Quali sono stati i risultati?

Con le leggi razziali, gli ebrei non potevano più possedere licenze, titoli, proprietà importanti. Si organizzavano vendite fittizie. Molte cose, molti appartamenti non sono più ritornate ai legittimi proprietari.

L’Italia ha avuto una responsabilità enorme durante quel periodo. Molti dei delatori, collaborazionisti, vessatori non sono mai usciti allo scoperto né sono stati condannati.

La privazione morale e materiale non ha mai subito un adeguato riconoscimento né una punizione per chi lo ha fatto.

In qualche occasione c’è stato un riconoscimento giuridico per volontà degli eredi che hanno preteso che si ritornasse alla normalità.

Sono avvenimenti che risalgono agli anni ’50, oggi non essendoci più gli eredi è difficile dimostrare queste vessazioni.

Sono stati fatti accordi con lo Stato di Israele e con altre Comunità ebraiche per uno scambio di informazioni sulle opere trafugate?

Con i Musei delle altre Comunità lavoriamo in rete e c’è, generalmente, un continuo scambio di informazioni su questi argomenti.

Ad oggi non esiste un database. È un bene che questo non sia solo in capo alla Comunità ma all’istituzione preposta a fare questo.

Con Israele ci sono rapporti e relazioni, non in modo strutturato, ma consolidato e si lavora sempre in grande sintonia ed energia.

Quanto le nuove generazioni conoscono del periodo storico della deportazione degli ebrei, ai tempi dell’occupazione nazista?

I nostri figli chiaramente conoscono di più di quel periodo, perché ne hanno sentito parlare in famiglia, la vivono, la studiano a scuola ebraica, facendone anche degli approfondimenti.

È vero che c’è un generale disinteresse su questi temi anche nel mondo della scuola, dove purtroppo anche culturalmente ancora vengono affidati alla buona volontà dei professori o a programmi non certo puntuali nei progetti didattici/educativi.

Il Protocollo può essere uno strumento per andare nelle scuole, sensibilizzare e far comprendere ai ragazzi che in quest’epoca molto tecnologica non si possono perdere di vista alcuni riferimenti.

 

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