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La taverna del mancato frate

di Michele Rubini
Il bestione di ferro blu inerpicava il grigio asfalto tortuoso con giganteschi tartufi neri che somigliavano a pneumatici. Il mal d’auto non era un optional ma una certezza, una sorta di allenamento preparatorio al delirio a cui si aveva la sicurezza di assistere.
1600 mt da scalare, il marmittone ad ogni cambio di marcia, obbligatoriamente prima e seconda, sbuffava nere e maleodoranti nubi di diesel. Le impegnative curve a gomito, la strada ai lati era un cimitero di carcasse di animali morti.
Falsi zombie cercavano di aggredirci, inseguendo  il pullman. Un orrore costruito a dovere, i viaggiatori erano in preda a un piacere orgasmico, urlavano e si pestavano. C’era chi fotografava con molesti flash, chi abbracciava i propri figli, indicando col dito e urlando, eccoli Stefy, Marco, guardate sono qui, da questa parte. Manco fossero cerbiatti, scimmiette e pavoni.
I bambini erano nati dopo la catastrofica malattia pandemica, bisognava rincoglionirli.
Guardavo i continui fotogrammi della pellicola dal finestrino del bus e mi chiedevo se i colori autunnali della campagna ben si unissero al momento della consapevolezza degli esseri umani sulla caducità della vita.
La domanda era inutile.
Il cartello di benvenuto citava.
Benvenuti nella città dei Fantasmi e degli Zombie.
Non ero qui per un week-end ludico ma dovevo documentare un fatto realmente accaduto.
Guardavo e pensavo alla  macabra storia del patologo clinico e della sua famiglia,  ebbi un sobbalzo di brividi, i sussulti pungolarono  le vertebre lombo-sacrali, sino a stimolare direttamente l’encefalo, tramutandosi in desiderio di sapere.
Vedere e conoscere i luoghi della tragedia narratami dai due fratelli Ballettieri divennero la mia marmellata da rubare, il buco della serratura della doccia della vicina da cui guardare.
Nick e Matt erano da sempre circondati dalla cessazione della vita, avevano più volte annusato l’odore nefasto del trapasso in episodi lugubri e raccapriccianti, sviluppando un senso dello humour paradossalmente inquietante. Nick aveva un diario delle proprie avventure, custodito gelosamente, in cui annotava le corbellerie dei pazienti che assisteva in punto di exitus. Matt invece era risoluto, efficace, immediato, meglio morti che feriti, diceva.
Ricordo una esilarante castroneria di Nick.
“Giovanotto mi sento tutta sfossata”. Nick dopo averla proferita, bofonchiando a gran voce, affermava orgoglioso che in quel momento e solo in quell’istante fosse stato l’unico essere umano  al mondo ad aver colloquiato con una zombie.
Arrivai finalmente nel paesino. Scesi dall’autolinea che era mattina, in giro si respirava l’aria nefasta di una fase post apocalittica che faceva presagire stermini e uccisioni.  Tutto costruito a dovere, nei minimi dettagli.
Hostess all’accoglienza, rigorosamente vestite di rosso sangue, minibus a pagamento per il trasporto dei turisti in città, volontari in tenuta antisommossa procedevano in fila a suon di marcia trionfante.
Confusionarie barriere contenitive costituite da automezzi, banchi di scuola, travi, pali in metallo, porte in legno, oggetti gettati e infilati alla rinfusa per tappare le falle in un approssimativo e fantomatico sistema difensivo anti-zombie.
Tutto perfetto, perverso e geniale.
Uffici turistici e punti di informazione assemblati con travi di legno che distribuivano a suon di dollaroni pass per l’ingresso nel centro storico dove accedevano visitatori da tutto il mondo con bambini che schiamazzavano inconsapevoli della morte che aveva aleggiato sulle loro teste.
Benvenuti nella città dei Fantasmi e degli Zombie.
Per rendere tutto più verosimile vi erano anche alcuni focolai fumanti di roghi accesi per dissolvere tutto ciò che si ritenesse infetto, nei falò si intravedevano carcasse di animali, probabilmente suini, mucche, cavalli e manichini di esseri umani, lanciati in un unico e inseparabile fuoco purificatore, la nube si alzava nel cielo per molti metri quasi a voler dare l’illusione di un ricongiungimento col divino.
L’odore di carne arrosto comunque mi ricordava di essere in una grande e perfida sagra paesana.
Musica, ricchi premi e cotillons.
Stands impilati uno accanto all’altro di sbadiglianti commercianti annoiati, vendevano t-shirt con svariate e innumerevoli pubblicità di serie televisive a tematica zombie, cappellini stampati con l’effige di Bub, maglie, pantaloni, giubbotti, guanti, pantofole, mutande e reggiseni con illustrazioni di zombie, perfino rotoli di carta-igienica con il viso di Romero su ogni  striscia, una schifezza assoluta, un circo della stupidità, un vero e proprio immondo morbo degenerativo della esorcizzazione della morte, sorto forse per scongiurare un’altra catastrofe planetaria.
Questo zoo della insipidità umana,  fruttava un sacco di quattrini e i soldi si sa nascono dall’orrore e dalla carneficina della tracotanza di alcuni, pochi esseri umani assetati di potere e fallocrazia.
Arrotolai un pizzico di tabacco umidiccio in una cartina marrone che si pavoneggiava di essere biologica. Biologica un paio di palle, dopo averla accesa col mio inseparabile zippo nero, me la sparai nei polmoni con ingordigia.
I teschi mi sorridevano sul pacchetto di tabacco.
In quel paesino, la disperazione dell’incredulità di un improvviso virus devastante e pandemico aveva preso il sopravvento sulle menti più lucide che avevano guidato la resistenza contro i morti viventi alcuni anni prima.
Il business probabilmente aveva ottenebrato e corrotto gli illuminati combattenti che avevano lottato, sofferto e annientato il virus dei morti.
Mi accesi un’altra sigaretta di tabacco, diedi un click esagerato allo zippo che mi cadde dalle mani sudate dalla nevrosi procuratami dalla dissolvenza dell’evoluzione dell’essere umano. Magicamente lo zippo rimase pochi secondi per terra, una mano ossuta lo raccolse, lo avvolse nella sua felpa, me lo porse lucido.
Guardai negli occhi la creatura, sorrise paffutella, gli occhi chiari e gentili. Il suo sguardo era talmente buono…continua a leggere

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Written by i love zombie

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