in

Balcani, jihadismo e mafie ecco alcune delle sfide da affrontare. Nostra intervista al professor Alessandro Politi, direttore del NATO Foundation Defense College

Di Giusy Criscuolo

Roma. L’influenza esercitata da movimenti di proselitismo wahhabita (divieto di apportare cambiamenti profani, lealtà all’Islam puro e dissociazione da tutto quello che non è considerato conforme alla vera interpretazione coranica, la jihad) ed operati da enti religiosi, umanitari ed ONG islamiche, hanno sfruttato la situazione di confusione socioeconomica nei Balcani, per radicarsi attraverso gli investimenti. La lungimiranza, di questi investitori, ha intuito quali fossero le necessità della popolazione, fornendo tutto l’occorrente necessario a quella regione vittima del suo passato. L’obiettivo è stato quello di diffondere una visione radicale dell’Islam in una regione, che fino a poco prima degli anni ’90 era di base atea.

Report Difesa ha intervistato il professor Alessandro Politi, direttore del NATO Foundation Defense College ed analista strategico.

Il Professore Alessandro Politi

Professore, il jihadismo nei Balcani è una minaccia concreta o un rumor eccessivo?

E’ chiaro che la situazione evolve. Essendo stato nell’ultimo anno in Kosovo, proprio nella KFOR come consigliere politico del comandante, le posso dire che durante il 2017, abbiamo avuto dei momenti di particolare attenzione, perché ci sono state tre minacce esplicite, jihadiste e takfiri sui loro media contro i Balcani (dall’arabo تكفيري takfīrī, musulmano che accusa un altro musulmano di apostasia). In special modo contro i serbi, i croati e gli altri, soprattutto i musulmani apostati. Gli apostati, sono i più invisi, quelli a cui si minacciano le peggiori punizioni, perché sono gli infedeli, secondo quello che sarebbe il loro credo. La sorveglianza, per ovvi motivi, è stata sempre mantenuta molto alta. Le autorità kosovare, sono molto attente al fenomeno. La loro Polizia non sta a dormire e nemmeno la loro intelligence interna.

La missione KFOR

Cosa mette in allarme le autorità kosovare?

Le posso fare un esempio pratico. E’ stato sventato, grazie all’arresto di 4 kosovari, la progettazione di attaccare il ponte di Rialto a Venezia. Da questo punto di vista nessuno sta tranquillo,ma ad oggi non ci sono stati eventi eclatanti. E’ chiaro che i Balcani possono essere considerati una zona di reclutamento e di retrovia, perché quei 4 kosovari, potevano tranquillamente pianificare qualcosa a casa loro. La gestione dei combattenti di ritorno ma soprattutto degli scarcerati, se non ci sono programmi di deradicalizzazione, può essere problematica. In realtà è una frazione minima, quella degli ex terroristi, che continuano ancora a fare il loro mestiere una volta tornati dai fronti di combattimento. Ma bastano poche persone per creare un problema serio.

Qual è l’attenzione della comunità internazionale in questo specifico caso?

Grazie a Dio la comunità internazionale è non solo vigile ma anche attenta all’attività di prevenzione. Proprio in Kosovo, le Nazioni Unite hanno avviato un programma di Referral, in una città kosovara (CVE Referral Gjilan, programma di sviluppo delle Nazioni Unite – UNDP) che ha avuto un successo abbastanza significativo. In questo programma, si mobilitano diverse componenti della società civile, ma anche delle amministrazioni locali. Stiamo parlando di comuni, scuole, di vari Ministeri.

Questo programma serve a far in modo, che se ci sono giovani che virano verso l’estremismo, si possa cercare di dissuaderli attraverso il dialogo e il reinserimento sociale. Le cifre sono ovviamente piccole su una città ma se noi moltiplichiamo questo esempio per le dieci più grandi città kosovare, il numero di persone che vengono seguite e prevenute, aumenta in modo significativo.

Ci sono possibilità di insuccesso?

Ovviamente c’è anche un raggio di insuccesso. Ma questo è normale in attività complesse che richiedono il coordinamento di molti operatori. Questo è un programma pilota e speriamo che continui. Perché significa togliere il terreno di cultura, togliere le persone prima che commettano qualche atto irreparabile. Alla data, per ora, sappiamo che i Balcani continuano ad essere una zona relativamente tranquilla. Ripeto, sono state sventate alcune pianificazioni terroristiche nello scorso anno e anche in questo ma il problema più serio dei Balcani che è dato quasi per invisibile, è il problema delle mafie. Questa è la vera difficoltà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

L’articolo Balcani, jihadismo e mafie ecco alcune delle sfide da affrontare. Nostra intervista al professor Alessandro Politi, direttore del NATO Foundation Defense College proviene da Report Difesa.

What do you think?

Written by Report Difesa

Quotidiano di geopolitica e di sicurezza nazionale ed internazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

GIPHY App Key not set. Please check settings

Martin Scorsese

13ma edizione della Festa del Cinema di Roma, il programma del quinto giorno

Carabinieri, operazione a Cosenza contro la permanenza illegale di stranieri nel nostro Paese. Coinvolti italiani e marocchini