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Guardia di Finanza: Crotone, operazione “Erebo Lacinio”, scoperta un’ingente frode nel settore della produzione di energia pulita. Emesse 6 misure cautelari e disposto un sequestro patrimoniale da 14 mln. di euro

Di Mariateresa Levi

Crotone. L’idea truffaldina era di quelle allettanti, attingere a piene mani nei cospicui fondi stanziati per gli impianti di produzione di energia rinnovabile; e poco importa se l’impianto funzionasse veramente secondo i criteri previsti e senza emettere inquinanti.

Così facendo – dal 2011 al 2018 – sei soggetti sono riusciti ad ottenere incentivi pubblici per oltre 14 milioni di euro, almeno fino a quando i finanzieri del Comando Provinciale di Crotone non hanno scoperto tutto e messo fine al lucrosissimo raggiro.

Si potrebbe racchiudere in questi pochi passaggi l’operazione “Erebo Lacinio”, che le fiamme gialle crotonesi hanno condotto sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica e che oggi vede chiudere il cerchio intorno ai responsabili, con l’esecuzione di sei misure cautelari e con il sequestro – per equivalente – di un intero complesso aziendale.

Le indagini condotte dagli investigatori della GDF hanno infatti permesso di far luce sull’esistenza di un’associazione a delinquere, al cui vertice vi erano la proprietaria ed il rappresentante legale di un’azienda agricola (seguiti da due dipendenti amministrativi nonché da altri due loro fiancheggiatori), i quali erano riusciti ad intascare gli incentivi pubblici erogati dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE).

GDF – contrasto reati ambientali

Più nel dettaglio, tali incentivi sono stati previsti con l’obiettivo di sostenere economicamente le imprese che producono energia impiegando fonti alternative, ed il loro funzionamento segue due linee di principio molto chiare: la prima è quella di limitare al minimo i residui nocivi derivanti dalla combustione di materiali energetici classici come i combustibili fossili, la seconda è invece quella di impiegare materiali proveniente da residui di lavorazione sottraendoli alla filiera dei rifiuti prima che questi possano essere ancora utilmente impiegati a scopi energetici.

Il presupposto a tutto ciò è ovviamente legato al pieno rispetto della vigente normativa che stabilisce quali siano gli standard costruttivi di questi particolari impianti per la produzione di energia pulita, nonché i requisiti chimico-organici dei materiali di risulta che vengono utilizzati al loro interno.

In questo caso però, come dimostrato dalle risultanze probatorie fornite dai finanzieri all’Autorità Giudiziaria inquirente, i soggetti coinvolti avevano presentato al GSE dati ed altre informazioni non veritiere, sia in fase di progettazione e costruzione dell’impianto di biogas in questione (sito a Isola Capo Rizzuto – KR), sia in quella di utilizzo dello stesso.

Sono stati infatti i servizi di pedinamento ed osservazione occulta dei veicoli aziendali a rivelare ai militari delle fiamme gialle l’utilizzo di biomasse di origine animale e vegetale in violazione alla normativa di riferimento (Reg.to Comunitario 1069/2009 e D. Lgs 152/2006), con la conseguente qualificazione delle stesse come rifiuto a tutti gli effetti e dunque non più impiegabile per la produzione di energia pulita.

Numerose sono state anche le operazioni di sversamento clandestino (tutte puntualmente documentate dai finanzieri) nelle campagne circostanti di “digestato”, ovvero del materiale proveniente dalla produzione di biogas, in completa assenza del previsto Piano di Utilizzazione Agronomica.

L’odierna operazione testimonia ancora una volta l’attenzione operativa che la Guardia di Finanza rivolge al contrasto dei reati ambientali e che, come chiaramente dimostrato da questa vicenda, implica sempre e comunque un risvolto di carattere finanziario, stavolta addirittura collegato all’indebita percezione di fondi pubblici.

 

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