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Guerra Commerciale Usa-Cina: l’occupazione americana vola

di Pierpaolo Piras

Il 6 luglio 2018 è iniziata una guerra commerciale tra USA e Cina. L’esito appare incerto, anche se il presidente americano Donald Trump dichiara che le guerre commerciali sono “easy to win” (facili da vincere).

Bisogna aspettare per capire quale sarà la strategia , oggi poco chiara, della quale si prevedono solo  pericolose conseguenze, non tutte negative sul medio-lungo periodo .

La tattica USA è sostenuta da una economia ultimamente rafforzata, che sta consentendo a Trump più libertà di imporre tariffe. Il mercato del lavoro, infatti, ha subito un incremento a giugno con una crescita dell’occupazione soprattutto nei settori della produzione.

Non subiranno variazioni i dazi su acciaio ed alluminio in quanto diffusamente utilizzati nell’industria bellica statunitense e la loro importazione, fosse anche da Paesi alleati, perchè metterebbe a rischio la sicurezza USA in caso di conflitto armato.  Su questo fronte, Trump, non ammette deroghe, ed ha utilizzato una Legge del 1962, in piena “guerra fredda”.

Presidente americano Donald Trump

Col provvedimento del 6 luglio si aggiungono 34 miliardi di dollari da applicarsi ad una moltitudine di prodotti cinesi, dai veicoli elettrici, oggetti elettronici,  presidi sanitari, ai ricambi per aerei, e se ne prevedono tanti altri ancora per manufatti più onerosi. Sono esentati gli  “iphone” in quanto sono marchiati “APPLE”. La Cina, ovviamente, fa scattare equivalenti contro-dazi verso le merci americane.

Il presidente Trump insinua una possibile escalation di dazi di ulteriori centinaia di miliardi di dollari. La stampa cinese bolla tali misure come “Una tattica da banda di malviventi”.

La guerra delle parole conta ben poco, anche perché la politica interna cinese a favore del proprio settore commerciale ha ben poco di etico. L’intera industria cinese è sostenuta da bassissimi salari, ai limiti della sussistenza, dal lavoro minorile (illecito nei Paesi civili), totale assenza di diritti sindacali e condizioni di lavoro spesso spaventose sotto il profilo della salute.

Altrettanto si può dimostrare per tanti altri Paesi asiatici.

Non è accettabile che i prodotti di questa sub-economia siano posti, nei mercati europei , sullo stesso piano concorrenziale dei nostri beni (USA, Europa) i quali vengono realizzati a costi ben maggiori, con la massima  tutela sia della tracciabilità e bontà, a favore della qualità del prodotto che della tutela della salute per chi ci lavora.

Un giusto parallelismo può essere fatto, per le navi cariche di riso cambogiano, o comunque del sud-est asiatico, da scaricare nei porti italiani. Un cereale di ben nota quanto inferiore qualità, rispetto a quello italiano e coltivato in Paesi dove le condizioni di lavoro sono ancora più spaventose ed abusive di adulti e bambini. Semmai sarebbe opportuno non importarne affatto o scriverlo in etichetta. Occorre ricordare che una nota azienda nazionale produttrice di piumini, venne processata e condannata dai media per il violento spiumaggio delle oche. Appare ancora più che doveroso e legittimo essere più severi per i cibi che importiamo dal terzo mondo, compreso il pessimo olio d’oliva nord-africano, e destinati alla nostra alimentazione…!!

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