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Rifiuti, i Carabinieri della Tutela Ambientale smantellano in molte città italiane una rete di sversamento illecito

Perugia. I Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Perugia, coadiuvati dagli altri Reparti del Comando Carabinieri per la Tutela Ambientale dislocati su tutto il territorio nazionale, nonché da personale dei Comandi Provinciali di Bari, Bologna, Monza, Padova, Parma, Perugia, Reggio Emilia, Roma, Siracusa, Treviso, Verona, e da militari del Gruppo Carabinieri Forestale di Perugia, hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal GIP del Tribunale perugino.

L’intervento dei Carabinieri del NOE di Perugia

Il provvedimento ha disposto la custodia cautelare per 7 persone, di cui due ai domiciliari.

Altri 8 sono stati sottoposti ad obbligo di dimora con contestuale presentazione quotidiana alla Polizia Giudiziaria, 5  alla sola presentazione alla Polizia Giudiziaria.

Per 2 imprenditori è stato disposto il divieto temporaneo di esercitare l’attività aziendale.

Tutti sono stati ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, anche pericolosi, gestione illecita di rifiuti, traffico transfrontaliero illecito di rifiuti, auto-riciclaggio, contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi, altre condotte illecite a queste funzionali.

Nel contesto della complessa attività di indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo umbro, è stato inoltre disposto il sequestro preventivo di 12 strutture aziendali, tutte operanti nel settore del recupero dei rifiuti – in gran parte provenienti dalla dismissione di campi fotovoltaici – compresi i beni immobili e mobili strumentali allo svolgimento dell’attività d’impresa, la perquisizione di ulteriori 5 impianti operanti nel medesimo settore, il riconoscimento della responsabilità amministrativa a carico di 38 società connesse, nonché il deferimento in stato di libertà, per i medesimi reati, di ulteriori 71 persone che avrebbero illecitamente operato per conseguire ingiusti profitti in favore delle aziende indagate.

L’inchiesta ha consentito di scoprire e disarticolare un sistema assai complesso, dedito all’illecita gestione di ingenti quantitativi Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE), per lo più consistenti in pannelli fotovoltaici dismessi dai numerosi parchi solari in esercizio nella Penisola.

Le attività investigative hanno avuto origine da un sequestro eseguito alla fine del 2016 dal NOE di Perugia, di oltre 300 tonnellate di rifiuti, anche pericolosi, rinvenuti all’interno di un’azienda trovata priva di qualsiasi autorizzazione ambientale, con sede in Gualdo Tadino (Perugia).

I Carabinieri, in quell’occasione, raccolsero i primi gravi indizi di una più articolata attività criminale che gli indagati avevano architettato.

I militari rinvennero, poi, un considerevole numero di pannelli fotovoltaici dismessi che l’azienda, esibendo documentazione di cui è stata poi accertata la falsità materiale e ideologica, aveva dichiarato distrutti per le conseguenti operazioni di recupero di RAEE.

Tuttavia i dispositivi, hanno scoperto i Carabinieri, risultavano ancora funzionanti e venivano riciclati con dati identificativi appositamente alterati e nuovamente commercializzati prevalentemente su canali esteri, prediligendo le rotte africane del Senegal, del Burkina Faso, della Nigeria, del Marocco, della Mauritania, oltre alla Turchia e alla Siria.

Gli approfondimenti successivamente compiuti, sempre sotto la direzione della DDA perugina, hanno permesso agli investigatori di comprendere che i pannelli fotovoltaici presenti presso l’azienda di Gualdo Tadino erano, in realtà, rifiuti speciali fraudolentemente spacciati come apparecchiature elettriche ed elettroniche vetuste, grazie all’opera svolta dagli appartenenti al gruppo criminale, secondo il ruolo da ciascuno rivestito nell’organizzazione.

L’ordinamento legislativo nazionale prevede che il pannello fotovoltaico a fine vita non debba essere più riutilizzato, ma demolito attraverso un ciclo che consenta il recupero di materia.

Per sostenere questo circuito virtuoso, il Gestore dei Servizi Energetici (GSE.), la S.p.A. a capitale pubblico che controlla anche il pagamento degli incentivi riconosciuti dallo Stato ai produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili (inclusi condomini e privati cittadini), ha adottato appositi regolamenti che, appunto al fine di scongiurare l’alimentazione di un mercato illegale di pannelli fotovoltaici dismessi, hanno introdotto un meccanismo per cui a pannello dismesso e dichiarato distrutto, con contestuale recupero di materia, consegue il riconoscimento di un incentivo per l’acquisto di uno nuovo.

Le investigazioni eseguite dal NOE di Perugia, rafforzate dall’analisi delle altre evidenze investigative nel frattempo raccolte, sono risultate determinanti per accertare l’esistenza di più associazioni per delinquere finalizzate all’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, anche transnazionale, al riciclaggio, all’auto-riciclaggio, alla falsificazione materiale e ideologica di documentazione.

I pericolosi sodalizi, per altro assai agguerriti nel reperimento dei pannelli fotovoltaici dismessi, sono risultati operativi dal Nord al Sud del territorio nazionale, Isole comprese.

Tra gli oganizzatori, promotori e attori principali 5 imprenditori con aziende dislocate a Gualdo Tadino, Traversetolo (Parma), Casale sul Sile (Treviso), Crespano del Grappa (Treviso) e Siracusa.

Gli indagati, secondo l’inchiesta, ritiravano partite di pannelli fotovoltaici dismessi, dichiarati come rifiuti per il solo tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano smontati e prelevati e l’impianto di trattamento.

Una volta ricevuti dagli stabilimenti, le aziende producevano delle dichiarazioni false che attestavano la loro distruzione e il contestuale recupero di materia (metalli vari, silicio, vetro, plastiche nobili e altre materie riutilizzabili) consegnando tale documentazione ai produttori originari del rifiuto che, del tutto ignari di ciò che accadeva una volta dismessi i vecchi pannelli, potevano chiudere il cerchio col GSE, riscuotendo il relativo incentivo.

Per contro, l’escamotage scoperto dai Carabinieri per la Tutela Ambientale prevedeva la redazione, da parte di altri associati, di false certificazioni attestanti che i pannelli, nel frattempo muniti di etichette false, erano apparecchiature elettriche ed elettroniche tecnologicamente sorpassate ma regolarmente funzionanti, circostanza che consentiva a tali rifiuti di aggirare il rigido sistema di controllo sia a livello nazionali che, attraverso il circuito doganale, sui canali esteri.

Questo astuto sistema di riciclaggio ha assicurato agli appartenenti all’organizzazione un triplice guadagno.

Secondo quanto emerso dalle indagini. hanno introitato, infatti, dapprima cospicue somme per il ritiro dei rifiuti dai produttori, successivamente hanno eluso i costi che avrebbero dovuto normalmente sostenere per il loro trattamento.

Infine, hanno rivenduto i pannelli fotovoltaici come apparecchiature elettriche usate ai Paesi in via di sviluppo, percependone il corrispettivo piuttosto che i costi di smaltimento del rifiuto.

Al fine di accertare esattamente l’ammontare dei profitti illecitamente accumulati dagli indagati, i militari hanno proceduto al sequestro preventivo delle 12 società ritenute protagoniste dei traffici, inclusi i messi, le apparecchiature e i beni immobili a queste connesse e funzionali alle attività produttive, per un valore complessivo stimato in circa 40  milioni di euro, e per tutte le aziende a vario titolo coinvolte, in tutto 38, l’Autorità Giudiziaria ha ipotizzato la responsabilità amministrativa degli enti.

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