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I classici di Natale: tra tradizione e banalità

Come da tradizione, anche quest’anno non potevano mancare i classici film che segnano con un’imprescindibile cadenza morbosa l’arrivo del Natale. Adatti ad un ampio target di fruitori, si ripropongo ancora una volta, anno dopo anno, Natale dopo Natale, fino all’esasperazione, ormai impressi a forza nelle nostre menti, volenti o nolenti.

Una mescolanza eccessiva di stereotipi e buon umore, dal grande classico in bianco e nero alle più recenti e scarne commedie americane di seconda categoria, l’abitudinario e la ripetitività permeano l’animo dello sprovveduto spettatore che, pur satollo delle care e vecchie abitudini, non disdegna un sottofondo di compagnia, più che mostrare un vero e proprio interesse per la pellicola in sé.

Da Miracolo nella 34a strada (1994 – di Les Mayfield), remake del celebre Miracolo della 34a strada datato 1947, a Mamma ho perso l’aereo (1990 – di Chris Columbus), immortale commedia con un giovanissimo Macaulay Culkin ed un esperto Joe Pesci, pellicola che crea sempre l’atmosfera natalizia adatta con i suoi toni scherzosi ma allo stesso tempo riflessivi, anche se eccede talvolta nella buffoneria più cruda.

All’insegna della bontà e della filantropia si colloca Jack Frost (1998 – di Troy Miller) che con la sua storia strappalacrime commuove ed insegna i grandi valori della vita, infondendo una vigorosa carica emotiva, nonostante la semplicità stilistica con cui tali concetti vengono espressi.

Come non citare inoltre The Family Man (2000 – di Brett Ratner) interpretato con la stessa espressione di sempre da Nicholas Cage (nipote dell’incommensurabile genio Francis Ford Coppola): la classica rivisitazione in chiave moderna del “cosa sarebbe successo se…”, tema dal quale siamo oberati, causa le centinaia e centinaia di pellicole inerenti allo stesso contenuto, ormai scadenti, inutili, ripetitive nella loro banalità. Altrettanto non si può dire di Una promessa è una promessa (1996 – di Brian Levant) che, se possibile, risulta addirittura di qualità peggiore: un budget sprecato per una trama ridicola, priva di un qualunque barlume di originalità, condita solo dall’imponente presenza scenica del pluripremiato culturista austriaco, nonché ex governatore della California, Arnold Schwarzenegger.

A tutt’altra categoria, sia concettuale che stilistica, appartengono Il Grinch (2000 – di Ron Howard – 1 Premio Oscar ed 1 Premio BAFTA) e Nightmare before Christmas (1993 – di Henry Selick, soggetto di Tim Burton), di qualità infinitamente superiore rispetto ai film sopracitati ed ormai entrati nell’Olimpo delle pellicole natalizie: il primo, interpretato magistralmente dal malleabile Jim Carrey, si pone come film dal grande contenuto etico ed emotivo, posto in un contesto grottesco, dai toni ovviamente fiabeschi ed a grandi tratti drammatici; il secondo, capolavoro dell’animazione, realizzato in stop-motion (utilizzando pupazzi mossi a mano dagli animatori di fotogramma in fotogramma), dalla tonalità fortemente cupa e di grande presenza estetica, è paradossalmente il più autobiografico e personale dei film di Tim Burton. La grafica raffinata e l’atmosfera malinconica contribuiscono a renderlo un’opera unica nel suo genere, di alto livello estetico-concettuale.

Dulcis in fundo, il film natalizio per antonomasia, la commedia simbolo dell’altruismo e della bontà, esempio assoluto del concetto di Natale: Una poltrona per due (1983 – di John Landis, con Eddie Murphy, Dan Aykroyd e Jamie Lee Curtis – 2 Premi BAFTA). Una storia di amicizia, di giustizia e dal grande valore deontologico. Elogiato dai più come capolavoro indiscutibile e dal forte carattere ilare, da tempo immemore viene puntualmente trasmesso sulla rete televisiva italiana durante le festività natalizie, tanto da causare ormai reazioni allergiche di vario genere ed episodi di Angina Pectoris agli spettatori dall’occhio fine, letteralmente nauseati dalla continua messa in onda di tale pellicola. Un oltraggio alla decenza comune ed una gravissima mancanza di rispetto verso il film stesso, condannato dopo anni al ruolo di ripiego, di banale certezza, che diventato una tradizione, perde il proprio significato intrinseco, si svuota completamente di un qualunque valore etico-morale.

Per la salvaguardia della salute degli spettatori e in forma di rispetto nei confronti del cinema, sarebbe auspicabile un minimo di varietà, di originalità, se non altro per ricreare interesse nei confronti dei classici film di Natale. E’ lecito inoltre consigliare, piuttosto che sperperare miseramente ingenti quantità di denaro finalizzate alla produzione di opere di infimo livello cinematografico, la devoluzione della stessa quantità di denaro in beneficenza, atto che meglio incarnerebbe la vera essenza dello spirito natalizio.

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