Henri Matisse (1869-1954), figlio di un negoziante, divenne pittore grazie a una vocazione tardiva. Insieme a Picasso lo si annovera tra i grandi innovatori del linguaggio pittorico. Un po’ come Chagall, passò la vita a cercare una calma interiore che potesse anche assumere le forme esteriori dell’arte. A ventun anni, durante una malattia dovuta ad un fisico molto debole, incominciò a disegnare. Dopo la guarigione si trasferì dal Nord della Francia a Parigi dove si iscrisse a corsi di decorazione e di pittura. Bocciato ai primi esami di ammissione della Scuola di Belle Arti, riprovò, (per la sua grande caparbietà) e finì con l’iscriversi alla classe del Maestro Gustave Moreau e apprezzò la pittura di Monet e Manet, oltre che di Corot.
Frequentò assiduamente Pissarro e comperò piccole opere di Van Gogh, Cèzanne e Gaugin. Lesse con avidità il libro: Da Delacroix al Neo-Impressionismo di Paul Signac, che divenne suo amico e maestro: testimonia questo legame il quadro divisionista: Lusso, calma e voluttà (1904), una composizione che associava il tema mitico delle bagnanti a quello del pic-nic, il borghese “dèjeneurs sur l’herbe”. Soprattutto la visione di una mostra di Turner a Londra, indirizzò Matisse verso una luminosità molto carica. L’amicizia precoce con Albert Marquet e Andrè Derain gli consentì di diventare il perno attorno al quale ruotavano le cosiddette “belve selvagge”. Di selvaggio Matisse aveva poco, dato il suo matrimonio sereno, l’estrema metodicità nel lavoro ed altri tratti caratteristici.
La sua pittura si era ormai spinta su un territorio sul quale nessun maestro lo voleva più difendere, né Moreau, né Signac, né altri. Al Salon d’Automne del 1905 presentò La Donna con cappello: l’immagine era della moglie e appare gialla, ombreggiata da tratti verdi, sovrastata da un cappello-fruttiera e circondata da aloni sempre verdi e blu, ma anche viola. Seguendo le sue fonti maggiori, le pennellate scorrono seguendo il gesto della mano, ora ordinate come quelle di Van Gogh, ora libere come quelle di Turner, sempre comunque energiche e lontane da ogni realismo. L’insieme parve un’assurdità al pubblico, ma lo scandalo si rivelò benefico e gli consentì di vendere opere ai collezionisti più attenti.
Dobbiamo a una di questi: Gertrude Stein, la descrizione forse più esatta del quadro: La gioia di vivere (1905), un’altra scena di bagnanti. La Stein scrive: “In questo quadro Matisse realizza per la prima volta la sua intenzione di deformare le linee del corpo umano al fine di armonizzare e semplificare il valore artistico dei colori puri, che adoperava soltanto accoppiati al bianco….” All’artista non interessava l’aria aperta, le preferiva il chiuso di una stanza. Nel 1906 egli partì alla volta dell’Algeria e, nel 1912-13, trascorse due lunghi periodi in Marocco; grazie ad alcune mostre aveva già incontrato a Parigi l’arte islamica, che si esprimeva con superfici simmetriche, ripetitive, arabescate.
Il quadro: I tappeti rossi (1906) esprime bene il desiderio di accogliere la sapienza e il lusso estetico della decorazione nella pittura a olio, particolarmente evidente in opere successive come la seconda “stesura” de La tavola imbandita (del 1908), La famiglia del pittore, (1911) e Madame Matisse con scialle di Manila (1911). La sua poetica matura venne chiaramente descritta nelle sue Note di un pittore (1908), un lungo testo contro i suoi detrattori tradotto in tedesco e in russo. Vi si legge, tra le altre cose: “Quello che io ricerco è soprattutto l’espressione. Non sono capace di distinguere tra il sentimento che nutro per la vita e il mio modo di esprimerlo. L’espressione, a mio avviso, non consiste nella passione rispecchiata su un volto umano, o tradita da un gesto violento. L’intera disposizione del mio quadro è espressiva….”
“Un’opera d’arte deve essere armoniosa nella sua interezza: qualsiasi dettaglio superfluo rimpiazzerebbe qualche dettaglio essenziale nella mente dello spettatore”. Dal punto di vista dello stile “la forma circolare e la ripetizione ritmica”, sempre associate ai sentimenti di vitalità primordiale, divennero due costanti della sua opera. Appaiono nei quadri: La danza (1909-10) e La musica (1910). Cinque corpi rosso e arancio si stagliano su uno sfondo verde e blu, formando un cerchio di figure nude che è imprigionato in un girotondo vorticoso. La velocità è resa dal disegno, ma anche dalla violenza delle associazioni di colore, (sue caratteristiche). Il secondo quadro descrive con gli stessi elementi una situazione di calma: ancora 5 corpi rossi stanno seduti su un prato verde a livelli diversi. Se nel primo caso prevale un festone di linee curve, qui vincono la perpendicolari e i colori sono stesi in modo più piatto e denso. Il risultato è che le figure sembrano tenute ferme dal blu intenso del cielo. Più che il colore in se Matisse sembra sempre più interessato ai rapporti tra cromatismi… “Due tonalità sono un accordo, sono vita”, scrisse. Benchè abbia alternato fasi più decorative a fasi più figurative, non volle mai raggiungere l’astrazione. La toccò solo negli ultimi collages ottenuti con ritagli di carta definiti del resto: “un’astrazione che affonda le sue radici nella realtà”. Matisse concluse la fase più attiva delle sue ricerche attorno al 1916 depresso dall’atmosfera della guerra e dell’emergere di Picasso, come Leader dell’Avanguardia. Per gli anni successivi continuò a dipingere interni con finestra, odalische, ritratti e nature morte sontuose.
Spiccano nella sua maturità il grande fregio che ripropone il tema della danza per la collezione dei coniugi americani Barnes (1931-33) e La Cappella del Rosario a Vence, in Provenza (1950). Per entrambe le opere Matisse scelse l’assoluta piattezza del colore e un disegno ridotto ai minimi termini: quella sintesi che aveva tanto ammirato negli affreschi padovani di Giotto. Interessante tra le sue opere vedere due rappresentazioni che fece de La Tavola imbandita (quella del 1897 e quella del 1908). Il secondo quadro è però il risultato di un processo di esemplificazione estrema e di accentuazione del ruolo del colore che è diventato l’unico veicolo della luce: tanto più forte è la luce, quanto più viene scelto un colore forte.
L’opera del 1908 si mostra come una campitura rossa interrotta in alto a sinistra da un rettangolo verde. L’area rossa è attraversata da arabeschi blu con cesti di fiori al centro, volute simmetriche che simulano decorazioni per stoffa. L’accoppiamento blu-rosso è meno luminoso di quello verde-blu. Mentre nel quadro del 1897 il disegno non risultava visibile, secondo i suggerimenti soprattutto di Pissarro e del Puntinismo, in quello del 1908 le superfici sono piatte e il disegno è reso evidente dai contorni tracciati con il nero. Nella prima opera si attraversano tutte le gamme cromatiche e ciò a cui il pittore presta attenzione sono i riflessi creati dalla luce sopra gli oggetti. Nel quadro del 1908 invece egli appare interessato al colore della cosa, dimostrando di avere abbandonato la ricerca cara agli Impressionisti sui dati fenomenici determinati dall’incontro fisico tra luce bianca e superfici dei corpi.
Anche la costruzione dello spazio varia. Nel 1908 sono presenti tre sole linee oblique che non condividono un unico punto di fuga. Ciò che davvero suggerisce lo sfondamento in profondità è il primissimo piano segnato dal giallo dell’impagliatura della sedia: il secondo dal rosso che confonde e unifica la tavola e la parete retrostante, il terzo dal verde della figura della finestra. Ma gli oggetti vengono disposti in modo tale da appiattire la scena, come si evince dalle spalliere delle due sedie che sono di identiche dimensioni. La caraffa gialla è resa più evidente dell’altra dal colore e dal piatto su cui è poggiata. Ma è soprattutto la continuità tra la tovaglia e la tappezzeria a sottolineare l’andirivieni tra una lettura bidimensionale dell’immagine e una tridimensionale: sul lato sinistro del quadro, muro e tavolo non si distinguono più.
Negli anni che dividono i due quadri Matisse ha incontrato la decorazione, ma soprattutto ha cominciato a considerare la pittura come l’espressione di emozioni rese attraverso il colore, il suo modo di dipingere ha raggiunto una sintesi estrema, eliminando i mezzi toni e quella parte narrativa e realista che avrebbe potuto distrarre l’osservatore dall’armonia cromatica a cui si era sempre rifatto, forse fin dal principio; questo sono i quadri di Matisse: una combinazione di collages, ricostruzioni ottiche e di colore, dove l’effetto cromatico, appunto, non vuol mancare mai. Ma il pittore ha sempre voluto infondere innocenza e calma in tutte le sue opere probabilmente anche quelle più tardive, che lo allontanano da una visione d’infanzia e gioventù e lo trasportano nella maturità che per lui è sempre stata ugualmente calma e giovinezza, anzi realtà vista con “occhi di un giovane”.
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