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La soluzione per rilanciare il nostro campionato? Il made in Italy

C’era una volta il campionato più bello e combattuto del mondo, quello in cui i tanto citati “top player” desideravano giocare, quello in cui si vedevano sui campi del nostro paese i vari Maradona, Platini, Zico, Zidane, Shevchenko e tutti gli altri big da metà anni ’80 fino ai primi anni 2000.

Erano gli anni in cui in giro per l’Europa i nostri team vincevano tutto, Coppa Campioni, Uefa e Coppa delle Coppe.

Poi la fine, finiti i soldi, ma soprattutto le idee. E mentre negli altri paesi si faceva di necessità virtù puntando sui giovani ed esportando il proprio prodotto verso mercati stranieri in via di sviluppo economico (Cina e paesi arabi), noi restavamo fermi ad aspettare, credendo che il nostro torneo avrebbe sempre e comunque attirato giocatori ed investitori.

Immobili, spendendo quei pochi soldi rimasti per campioni sulla via del tramonto  o stranieri dai nomi esotici che scatenavano la fantasia dei tifosi durante l’estate per poi essere messi da parte una volta cominciata la stagione “reale”. Ed i pochi big rimasti fanno di tutto per essere ceduti all’estero, dove hanno più possibilità di vincere a livello internazionale, ma soprattutto di avere guadagni superiori.

Eppure la soluzione per rilanciare il “prodotto calcio” ci sarebbe, basterebbe investire sui nostri giovani del vivaio, farli crescere calcando i campi della massima serie, non lasciarli in panchina quando si gioca in Europa per affidarsi all’ultratrentenne di turno, per avere i nostri “top player”, coltivati direttamente sui nostri terreni di gioco. Invece no, deve essere proprio un problema di mentalità la nostra, non si riesce a credere che dei giovani possano farcela a competere con gli altri, che serve sempre esperienza (ma se uno non gioca, come farà a farsela l’esperienza!)

Analizzando l’ultimo campionato europeo under 21 appena terminato in Israele si intuisce tutto ciò.

Siam arrivati in finale, dopo un ottimo percorso, e poi…sciolti davanti ai pari età spagnoli, giovani titolari nelle big del calcio internazionale, loro sì con tanta esperienza europea.

Perché se il nostro portiere titolare è Bardi (indicato dagli addetti ai lavori come un possibile fenomeno, di proprietà dell’Inter, ma nell’ultima stagione in prestito al Novara, in serie B) mentre dall’altro lato tra i pali è presente De Gea (ultima stagione al Manchester United) la differenza è sotto gli occhi di tutti. All’estero non hanno paura di rischiare, di aspettare che un ragazzo dimostri le proprie qualità, di farlo crescere ed esplodere.

Da noi no, dopo tutta la trafila dei campionati giovanili, usciti dalle squadre primavera i nostri talenti devono farsi le ossa nei campionati minori, serie B, o magari qualche stagione in prestito a qualche squadra medio piccola in serie A, poi una volta che arriva sui 24 – 25 anni allora sì, è pronto per il grande passo.

Emblematico il caso Verratti, talento del Pescara di Zeman nel campionato di serie B, su cui avevano messo gli occhi tutte le big europee, le nostre squadre più titolate erano in vantaggio sul ragazzo, ma poi spaventate dalla valutazione di oltre 10 milioni di euro si son tirate indietro, ammettendo senza dirlo di non credere che un investimento del genere avesse senso, che non fosse ancora pronto al nostro calcio.

Costretto ad andare via dall’Italia per trovare qualcuno che puntasse su di lui e fosse pronto ad affidargli le chiavi della squadra, ha finito per convincere i dirigenti del Psg (non proprio l’ultimo team del mondo) e ha ripagato le loro aspettative, disputando un’ottima stagione.

Quindi, in un periodo in cui i soldi sono pochi, largo alle idee, quelle vincenti: spazio ai giovani!

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Written by Marco De Rinaldis

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