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Scenari conflittuali contemporanei: qualche riflessione critica

Di Giuseppe Santomartino*

Roma. Generale Rupert Smith (Regno Unito): Nessuna guerra e nessuna pace, solo conflitti senza alcuna conclusione” .

Abdullah ‘Azzam (considerato il vero ideologo di al-Qa’ida): “Finchè persiste l’obbligo del Jihad non è permesso avere pace”.

Killelea (Fondatore Economic & Peace Institute): Peace is the prerequisite for the survival of humanity as we know it in the 21st century.

Queste tre frasi appartengono a tre personaggi profondamente diversi tra loro ma che , seppure con diverse prospettive e finalità, hanno affrontato in epoca recente il tema dei conflitti e della pace.

In molte parti del mondo di combatte, ogni giorno

Sono peraltro tre affermazioni che, sullo spunto del recentissimo riesplodere del conflitto israelo-palestinese, devono indurre qualche realistica  riflessione critica su alcuni temi di fondo che  sottendono la  conflittualità  contemporanea.

Abbiamo un’adeguata epistemologia (Scienza della conoscenza) delle conflittualità contemporanee?

Molte delle analisi che leggiamo anche in queste ore sui conflitti in atto evidenziano palesi difficoltà ad emanciparsi  dalle tradizionali caratteristiche conflittuali affermatisi fino al XX secolo.

Da almeno 15 anni ormai la grande maggioranza dei conflitti censiti vede quali protagonisti o co-protagonisti non più gli Stati-Nazione (modello 1^ o 2^ Guerra Mondiale) ma i Non-State-Actors (gruppi terroristici, Organismi di Liberazione Nazionali, compagnie paramilitari in proxy wars, gruppi di autodifesa, Proto-Stati quali il Califfato autoproclamato dall’ISIS ed altri).

Donne armate dell’ISIS

A fronte di tale realtà l’intero sistema del diritto e delle relazioni  internazionali  non ha ancora espresso adeguati riferimenti normativi e dottrinali per i soggetti non statuali, ciò complica ogni analisi e gestione  di vicende conflittuali affidandosi ad approcci per lo più ideologici, spesso suggestivi o decisamente improvvisati (pensiamo alle recenti trattative con i Talebani in Afghanistan o esempi di trattative con gruppi jihadisti in Africa dopo anni in cui si è affermato di non voler assolutamente trattare con essi).

Milizie Talebane

Altra caratteristica dei conflitti contemporanei di cui si ha poca consapevolezza è la loro durata.

I conflitti ormai iniziano ma poi semplicemente non  finiscono, vediamo alcuni esempi: Israele-Palestina in atto da oltre 70 anni, Afghanistan da oltre 40 anni ( di cui solo gli ultimi 20 con presenze occidentali), Iraq da oltre 30 anni con la drammatica evoluzione dell’invasione del 2003 che ha generato una situazione di endemica conflittualità in tutto il Medio Oriente fra cui la nascita dell’ISIS, Somalia da oltre 30 anni, Siria e Libia da ormai 10 anni, la cosiddetta Global War On Terrorism da 20 anni.

In tali contesti parlare di vittorie, sconfitte, strategie post-conflicts o exit-strategies appare non solo fuori luogo, ma quasi grottesco.

Queste ed altre caratteristiche quali: capacità di raccogliere consensi, ricorsi a richiami identitari e mobilitanti (ad esempio gruppi jihadisti), complesse evoluzioni dottrinali (ad esempio 4th o 5th Generation Warfare, Hybrid Warfare) portano, più in generale, verso scenari conflittuologici in cui, come ha affermato il Brooking Institute per la lotta al Jihadismo, si rischia di andare verso una serie di illusori e temporanei successi tattici ma in una prospettiva di lungo termine di sconfitta strategica da parte di chi, sulla carta, detiene le maggiori capacità economiche e tecnico-militari. E ciò superando anche i vari discorsi sentiti in passato sui conflitti “asimmetrici”.

Per citare di nuovo il Generale Smith “Why the Strongest Armies May Lose the Newest Wars”.

Non a caso Bernini nel suo “Filosofia della guerra un approccio epistemologico”afferma  che  l’epistemologia della guerra” è tutta da costruire.

Carl von Clausewitz ha lanciato il sasso nello stagno, ma la sua voce, almeno in questo settore, è rimasta inascoltata.

Carl von Clausewitz

Tale denuncia viene rafforzata da Bouthoul nel suo testo sui conflitti in cui evidenzia l’assoluta urgenza della creazione di una polemologia quale scienza dei conflitti che sia però cosa diversa dallo studio delle strategie o tattiche militari, proponendosi  quale “capitolo più importante della sociologia dinamica”, aggiungendo che “ senza la creazione di una polemologia tutte le altre scienze corrono il rischio di diventare assolutamente inutili”.

Quanto è utile la geopolitica ?

A fronte di vari  successi mediatici (anche sui social), editoriali ed anche accademici, la geopolitica raccoglie serie critiche che toccano la chiarezza della sua definizione disciplinare, i contenuti e le basi epistemologiche.

Il discorso sarebbe molto lungo, basti qui citare la forte critica di Flint alla Classical  Geopolitcs in cui evidenzia l’esigenza che questa abbandoni l’ approccio prevalentemente stato-centrico per investire anche altri ambiti fra cui in particolare i Non-State-Actors e tutte le dinamiche economiche, commerciali, culturali a livello transnazionale.

Flint al riguardo propone una “Critical Geopolitcs”.

Altre importanti criticità. Tanti sarebbero ancora gli elementi (mancanza di una vera scienza della pace, mancata definizione internazionalmente condivisa del fenomeno “terrorismo”, volatilità nelle teorie delle relazioni internazionali, erosione dello ius ad bellum e ius in bello, diffusione di dottrine interventiste ma illegittime o confuse quali “guerra preventiva” e “interventi umanitari”, concreta efficacia delle cosiddette missioni di pace e state-building, erosione dei poteri reali del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU, effettivo ruolo e limiti dello strumento militare nella risoluzione dei conflitti) che rendono ancora più critica la nostra capacità di analizzare, capire e gestire le complessità conflittuologiche contemporanee.

L’auspicio è che almeno si cominci a prendere coscienza di tali criticità, l’alternativa è continuare a rincorrere pateticamente le tragiche cronache dei vari conflitti ovvero essere medici che non riescono ad andare al di là dell’osservazione dei sintomi.

*Generale di Divisione dell’Esercito (Aus). Dottore in Scienze Politiche a indirizzo Islamico presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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