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«Siamo difronte a una barbarie culturale ma lo Stato è sempre presente». La lotta alla ‘Ndrangheta spiegata dal Prefetto Giuseppe Gualtieri

Di Giusy Criscuolo

«La situazione non è rosea. A parte la presenza della potente cosca dei Mancuso ormai operativa anche all’estero, ci sono delle famiglie satellite legate a questa ‘ndrina che si infiltrano nella vita sociopolitica dei vari paesi. Difatti la provincia conta il maggior numero di comuni commissariati e sciolti per infiltrazioni mafiose. Il nostro compito è quello di ripristinare i valori positivi per un’aggregazione sociale sana, invece di favorire l’ossequio al piccolo boss locale». Dall’ultimo fatto di sangue per regolamento di conti a Nicotera lo scorso 12 agosto al più recente rinvenimento di una folta piantagione di canapa indiana, operato dalla Compagnia Carabinieri di Serra San Bruno nella mattinata del 14 agosto, il mondo della criminalità organizzata calabrese viene lucidamente analizzato dal Prefetto di Vibo Valentia Giuseppe Gualtieri. Una realtà che si inserisce in un «clima di controrivoluzione culturale» in cui – come sottolinea Gualtieri – il lavoro di contrasto da parte delle forze dell’ordine esula dai compiti di repressione divenendo estremamente complesso.

 

Il Prefetto di Vibo Valentia Giuseppe Gualtieri

La presenza dello Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori Calabria, e di altre forze di Polizia, ha garantito in questi anni una forte presenza dello Stato. Alla luce dei recenti accadimenti delittuosi e dei numerosi rinvenimenti di piantagioni nella provincia di Vibo Valentia, come procedono le attività di contrasto alla criminalità organizzata?

«Il Reparto è il fiore all’occhiello della Provincia che conta 50 comuni tutti pervasi dalla criminalità organizzata. Le Forze territoriali sono valorose, ma il numero è esiguo in proporzione agli accadimenti e alla qualità della criminalità presente nella Provincia. Un reparto speciale come quello che abbiamo a Vibo Valentia, offre una possibilità in più, soprattutto in quelle zone dove la conformazione del territorio consente alle consorterie di avere dei luoghi che potrebbero sembrare franchi, ma che in realtà non lo sono e che vengono prontamente bonificati».

Come è distribuita la presenza delle forze di Polizia?

«La presenza delle forze di Polizia è capillare e la parte del leone la fanno le Stazioni dei Carabinieri che sono l’ultima propaggine del sistema ordine e sicurezza pubblica. Sono coloro che forniscono non solo l’apporto di dati più sensibili per eseguire provvedimenti amministrativi, ma sono anche coloro che hanno un impatto con l’ordine pubblico immediato e a cui sono richieste decisioni importanti. Il più recente caso è l’individuazione di un noto Boss che portava il quadro della Madonna durante una cerimonia religiosa. L’intervento tempestivo dei Carabinieri ha fatto in modo che, una cerimonia religiosa non si trasformasse in una simbolica ostentazione di una consorteria criminale. Anche la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza fanno la loro parte, ma con numeri diversi, poiché il criterio di distribuzione delle forze di Polizia sul territorio, che segue i parametri utilizzati in tutta Italia, non è rispondente al parametro di popolazione e accadimenti criminali presenti nella Provincia. Purtroppo la presenza criminale e il numero di reati meriterebbe un diverso criterio di distribuzione di forze di Polizia. Fortunatamente la qualità dell’approccio con la popolazione è rimasta alta. La presenza delle forze di Polizia è importante, soprattutto in questo clima di controrivoluzione culturale, dove il compito dei militari dell’Arma e dei poliziotti della Questura non è solo di repressione, ma ha anche una funzione di informazione permanente».

Recentemente il Sottosegretario di Stato agli interni Carlo Sibilia, che ha scelto per la sua prima visita istituzionale proprio la Calabria, ha parlato della necessità di un “cambio radicale di mentalità” in questo territorio.

«Dalla recente visita del Sottosegretario Sibilia, che ha dimostrato una simbolica vicinanza dello Stato, è emerso che quello che va fatto è una rivoluzione culturale. A fianco della criminalità organizzata vi sono episodi di quotidiana relazione sociale con fatti criminosi e atti di violenza. A discapito dei cittadini per bene, si evince che il modo di relazionarsi tra uomini di ‘ndrine, spesso sfocia in episodi di violenza, con la nascita di piccole faide familiari che terminano con omicidi. Non ultimo l’omicidio di Nicotera avvenuto in un luogo pubblico e in piena mattinata. Segni questi, di una barbarie culturale che venti anni fa non esisteva».

Come mai questa involuzione?

«Venti anni fa questa era una provincia che si avviava ad un accenno di modernità. Ci sarà stato un blackout nella società civile o nella politica e soprattutto in una crescente occupazione economica delle cosche che ha congestionato il mercato rendendole necessarie per tutti».

Notizie di cronaca locale evidenziano come sia grande l’impegno delle Forze di Polizia nella lotta contro il traffico di droga. Il traffico di stupefacenti, ad oggi, che peso economico ha nel sostentamento delle cosche?

«Ormai da lunghi anni il traffico internazionale della droga è gestito essenzialmente dalle cosche regine del lato Jonico, dai San Lucoti e dagli Africoti. È stato poi esteso alle consorterie consorelle, tra cui soprattutto i Pesce e i Bellocco di Rosarno a cui i Mancuso originariamente erano fortemente legati. Adesso che hanno assunto una loro autonomia, una loro potenza criminale, utilizzano come strumento di moltiplicazione delle risorse economiche il traffico degli stupefacenti, con il quale vi è un ricarico significativo dei profitti criminali».

I proventi degli illeciti, come vengono reinvestiti?

«Il problema grosso nasce dal fatto che questi profitti vengono investiti in attività economiche apparentemente scevre da ogni legame mafioso. Si parla di villaggi turistici, di piccole aziende di servizi o addirittura aziende che hanno una filiera di produzione propria. La difficoltà che incontriamo in questa provincia, non dissimile dalle altre, è quella di spezzare queste catene tra l’imprenditore o il commerciante che nascono come imprenditori sani, ma che in crisi di liquidità decidono di fare da prestanome o si mettono in società con queste consorterie, rimanendone schiavi. Ciò vanifica il lavoro di individuazione e perseguimento di questi capitali. Questi profitti creano monopolio economico, impedendo lo sviluppo e bloccando l’economia pulita di chi lavora seguendo le leggi».

Com’è cambiato il lavoro delle Forze di Polizia?

«Sono aumentati gli arresti delle operazioni antimafia e dei piccoli reati quotidiani. Il lavoro delle Forze di Polizia è migliorato qualitativamente, perché le operazioni di Polizia Giudiziaria hanno consentito di svelare anche le metodologie di acquisizione e di invasione del sistema sociale sano. Le indagini approfondite hanno messo alla luce i meccanismi di infiltrazione nel settore degli appalti pubblici, della gestione del sistema di assistenza ai migranti e della gestione del sistema sanitario. Queste attività di altissima qualità, ci hanno permesso di capire come le cosche entrino o provino ad entrare in questi bacini economici. Un contrasto avanzato contro la criminalità, ma sempre un contrasto che senza la collaborazione dei cittadini per bene, resta un contrasto che avrà i suoi risultati a lungo termine e solo con un cambio di mentalità. Soprattutto nella fase della gestione dei beni comunali o di tutte le attività per le quali il comune è interessato. Senza la complicità dei funzionari, la cecità della Polizia Municipale, senza la connivenza di tecnici certe situazioni non potrebbero avvenire. Spesso l’atteggiamento di inedia e di ignavia della popolazione porta e rendere potenti persone che analizzate di per se sono davvero poca cosa».

Tra le prefetture calabresi c’è una sorta di sinergia operativa. Avete una piattaforma congiunta di informazioni?

«Certo. Vi sono dei Prefetti coordinatori che sono quelli di Catanzaro e di Reggio. Poi c’è il Prefetto coordinatore regionale di Reggio Calabria. C’è uno scambio di informazioni continuo. C’è un costante scambio di informazioni sulla criminalità organizzata, soprattutto vi è una sinergia, cosa che in passato non avveniva tra le prefetture e le direzioni distrettuali antimafia. Il che è un bene, perché al di là della lettura delle informazioni cartacee, quando assumiamo un provvedimento interdittivo o sciogliamo un comune dobbiamo capire bene se siamo difronte a dei cittadini poco attenti o sotto ricatto o se siamo difronte a dei conniventi o prestanome delle cosche».

Che dati ci sono sui beni sequestrati alle cosche e che coinvolgimento c’è tra le nuove generazioni per la riutilizzazione dei beni confiscati alla ndrangheta?

«I beni sequestrati alle cosche sono tanti. Il problema grosso resta la gestione di questi. Spesso, affidati ai comuni, non trovano la giusta collocazione per mancanza di risorse economiche. Così come alcuni beni confiscati non trovano una giusta riqualificazione. Vi sono beni, come nel caso di un’impresa, che hanno bisogno di un approccio più specialistico. È stato operato un censimento e ci stiamo adoperando per la loro riqualificazione. Lo scopo della normativa è quello di sottrarre alle cosche e di dare a questi immobili una funzione sociale. Non sempre tutti possono avere questo scopo, ma quando vi è la possibilità di ottenere un minimo di resa economica dalla loro gestione cerchiamo, con tutte le forze, di affiancare i giovani, le cooperative o chiunque voglia creare un know how imprenditoriale. Perché la legge dice questo e perché nessuno abbia a dire che il bene finché era in mano al mafioso dava lavoro e funzionava mentre dopo il sequestro è divenuto un ramo secco che ha creato disoccupazione. Lo Stato è sempre presente».

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